martedì 21 settembre 2010

ROSASPINA: La Bella Addormentata nel Bosco. de "Il meraviglioso mondo di Shangri-La"


...C'erano una volta un re e una regina, che desideravano tanto avere un bambino. Un giorno, mentre la regina faceva il bagno, dall’acqua saltò fuori una rana, che le disse: "Entro un anno, nascerà la tua bimba.". E così avvenne. La bimba era talmente bella e il re tanto felice che volle fare una grande festa. Invitò i parenti, gli amici ed anche le fate. Nel suo regno ce n'erano tredici, ma egli aveva soltanto dodici piatti d'oro per il pranzo e perciò una fata dovette rimanere a casa. La festa era quasi alla fine quando le fate diedero alla bimba i loro meravigliosi doni : la prima le donò la virtù, la seconda la bellezza, la terza la ricchezza, e così via, tutto quel che si può desiderare al mondo. Undici fate avevano già fatto i loro auguri, quando all'improvviso giunse la tredicesima. Per vendicarsi di non esser stata invitata, disse a voce alta : "A quindici anni la principessa si pungerà con un fuso e cadrà a terra morta.". Allora la dodicesima fata disse: "La principessa non morirà, ma cadrà in un sonno profondo che durerà cent'anni.". Allora il re ordinò di far bruciare tutti i fusi del regno. La bambina cresceva bella, intelligente, garbata e gentile. Proprio nel giorno del suo quindicesimo compleanno, il re e la regina erano fuori ed la principessa rimase sola nel castello. Lo girò in lungo ed in largo, alla fine arrivò ad una vecchia torre. Salì la stretta scala a chiocciola, finché raggiunse una porticina. La bimba la aprì e nella stanzetta c'era una vecchia donna con un fuso, che stava filando del lino. "Buon giorno, nonnina.", disse la principessina. "Cosa stai facendo?". "Filo.", rispose la vecchina. Incuriosita, la principessa prese il fuso per provare a filare anche lei. Non fece in tempo a toccarlo, che già si era punta il dito, proprio come aveva predetto la fata cattiva. E come aveva detto la dodicesima fata, subito si addormentò. Il sonno si propagò per tutto il castello: il re e la regina, appena ritornati a casa, s'addormentarono con tutta la corte. Si addormentarono anche i cavalli nella scuderia, i cani nel cortile, i colombi sul tetto, le mosche sulla parete, il fuoco nel camino, il cuoco nella cucina, il vento e gli alberi. Intorno al castello crebbe una siepe irta di spine , che ogni anno diventava più alta e finì per ricoprirlo tutto. In tutto paese si sparse la leggenda di Rosaspina, la bella addormentata. Dopo tanti ma tanti anni, arrivò nel paese un principe che ascoltò il racconto del castello dove dormiva una bellissima principessa e decise di andare a liberarla. Infatti erano passati proprio cento anni, e Rosaspina doveva svegliarsi! Quando il principe s'avvicinò alla siepe, la trovò piena di bellissimi fiori, che si separarono per lasciarlo passare. Nel cortile del castello vide cavalli e cani da caccia addormentati, sul tetto i colombi con la testina sotto l'ala; nel castello, le mosche dormivano sulla parete, il cuoco in cucina, la cuoca seduta davanti al pollo che stava cucinando. Nella sala del trono dormivano il re e la regina e tutta la corte. Quando raggiunse la torre, il principe aprì la porta e appena entrato vide la principessa Rosaspina. Si chinò su di lei e le diede un bacio. Immediatamente Rosaspina aprì gli occhi, si svegliò e lo guardò con un sorriso. Scesero insieme e tutto il castello e i suoi abitanti si risvegliarono. Il fuoco in cucina continuò a cuocere il pranzo, l'arrosto ricominciò a sfrigolare e si fece una bellissima festa per le nozze del principe e di Rosaspina che vissero a lungo felici e contenti.

L'Aureo Vello. de "Il meraviglioso mondo di Shangri-La"


...Il re della Colchide odiava gli stranieri. Li odiava talmente che uccideva chiunque mettesse piede nel suo paese. Ma quando seppe che Giasone e la sua banda di eroi erano appena approdati in cerca del vello d'oro, fece un sorriso maligno. "Affiderò a questo grande eroe un'impresa impossibile e solo dopo ucciderò lui e i suoi seguaci.", disse alla figlia, la maga Medea. Così il re li accolse benevolmente e, quando gli spiegarono la ragione del loro arrivo, fece finta di essere sorpreso. "Non lo sapete che chiunque voglia prendere quel vello deve prima fare qualcosa per me? Ho un campo che dev'essere arato e seminato, vuoi pensarci tu, visto che sei il loro capo?", disse, rivolto a Giasone. Giasone accettò subito, ma fu sbalordito quando vide gli animali che tiravano l'aratro e ancor più sconcertato quando vide che cosa doveva seminare. L'aratro era aggiogato a due tori che mandavano fiamme dalle narici, bruciando chiunque si avvicinasse, e i semi erano denti di drago. "Hai tempo fino a domani all'ora del tramonto.", disse il re. Era sapeva che Giasone non ce l'avrebbe mai fatta da solo, allora chiamò Afrodite. "Fà in modo che la figlia del re si innamori di Giasone.", le ordinò. "Lei saprà come aiutarlo.". Afrodite spedì subito il figlio Eros a colpire la fanciulla con le sue piccole frecce d'amore e poco dopo ecco Medea che strisciava furtiva nella stanza del giovane. "Ti amo.", gli sussurrò. "E posso aiutarti. Prendi questo unguento e spalmatelo sul corpo: cosi sopporterai il calore emanato dai tori e potrai arare il campo.". Protetto dall'unguento, Giasone completò il lavoro e si accinse a seminare i denti di drago. D'improvviso, dai solchi spuntarono centinaia di guerrieri di pietra, ma Giasone li prese a sassate e cominciarono a combattersi tra loro. All'ora del tramonto erano tutti morti. Furibondo, il re ordinò ai suoi soldati di uccidere Giasone e i compagni l'indomani all'alba. Ma Medea lo aveva spiato e corse subito da Giasone. "Devi andartene!". gli disse. "Ti guiderò al bosco sacro e userò le mie arti magiche per addormentare il drago che custodisce l'albero. Così potrai rubare il vello d'oro e poi fuggiremo insieme!". Giasone le diede un bacio e uscirono dal palazzo in punta di piedi. Il bosco era cupo e tenebroso, ma lassù, appeso ai rami più alti, il vello d'oro splendeva come mille soli. Rapidamente Medea cominciò a recitare una filastrocca magica e poco dopo il terribile drago chiuse i suoi enormi occhi con un sospiro beato. Giasone scavalcò il gigantesco corpo squamoso e strappò dal ramo il prezioso vello. Mentre correva con Medea verso la nave, squillarono cento campane d'allarme e cominciò a rimbombare uno spaventoso frastuono di passi: erano i soldati del re che li inseguivano. Appena in tempo saltarono sul ponte e gli Argonauti si gettarono sui remi finché la Colchide fu lontanissima. Con il vello d'oro finalmente conquistato, Giasone poté tornare a lolco e riprendersi il trono usurpato dal perfido zio Pelia.

La Signora di Tebe. de "Il meraviglioso mondo di Shangri-La"

...In agguato su un'enorme roccia che dominava la strada di Tebe, viveva ai tempi dei tempi la Sfinge. Era un terribile mostro dalle ali di aquila, dal volto e il petto di donna e il corpo simile a quello di un feroce leone. Si appostava notte e giorno sul Citerone in attesa dei viandanti, e appena li avvistava, li fermava e proponeva loro un enigma. Quelli che non sapevano rispondere venivano immediatamente divorati dal mostro. Innumerevoli erano le vittime della Sfinge, e la città di Tebe e i suoi dintorni erano desolati da tale sciagura, inflitta da Giunone ai Tebani per punirli di aver trascurato i sacrifici in suo onore. Purtroppo nessuno mai era riuscito a sciogliere gli enigmi proposti dal mostro alato e, passare sotto il Citerone, significava andare incontro a morte sicura. Il re di Tebe Creonte, fratello di Giocasta, sperando di metter fine a questo tragico flagello aveva pubblicato un bando che diceva: "Il re concederà la mano di sua sorella Giocasta e offrirà la corona di Tebe a colui che libererà il paese dall'incubo della Sfinge.". Proprio in quel tempo Edipo si trovava presso la città di Tebe e gli venne il desiderio leggendo il bando di tentare l'impresa. "Straniero ardimentoso!", disse con voce rauca il mostro. "Fermati! Devo proporti un enigma: Sai dirmi qual sia l'animale che il mattino cammina su quattro piedi, a mezzodì su due e la sera su tre?". Edipo stette un momento sopra pensiero, poi con un sorriso di trionfo rispose: "Quell'animale è l'uomo. Egli infatti da bambino si trascina sulle mani e sui piedi, diventato grande, cammina sui due piedi, infine da vecchio si appoggia sul bastone.". Aveva proprio indovinato! La Sfinge, vedendo per la prima volta risolto il suo enigma, si precipitò rabbiosa dall'alto del roccioso Citerone e si uccise. E il popolo festante gridò per le vie di Tebe: "Uno straniero ci ha liberati dal terribile flagello! Gloria a lui. A lui il trono e la mano della regina Giocasta!". Ed Edipo entrò nella città dalle sette porte come trionfatore, e come il destino volle sposò la propria madre.

I Re Magi. de "Il meraviglioso mondo di Shangri-La"


...Ogni anno, in prossimità dell’Epifania, ci si domanda chi sono i Magi, come si chiamavano e, soprattutto, da dove attingiamo le notizie che li riguardavano. E' logico pensare che provengano dai Vangeli. Ma è sbagliato: tra i Vangeli sinottici solo quello di Matteo al cap. 2 (versetti 1-2), all’inizio afferma, molto incidentalmente: "Che nella grotta della natività giunsero, tra gli altri, anche i “Magi” che provenivano genericamente “da Oriente”.". Il testo di Matteo afferma testualmente “Gesù nacque a Betlemme di Giudea al tempo del re Erode. Alcuni Magi giunsero da oriente a Gerusalemme e domandarono …”. Il Vangelo secondo Matteo non fornisce altre notizie. In pratica non si sa né come si chiamavano, né quanti erano; l’unica cosa che Matteo lascia intendere che erano più di uno (alcuni Magi). Gli evangelisti Luca e Marco, non fanno parola dell’episodio e Giovanni, non si occupa dell’infanzia di Gesù. Nei vangeli sinottici quindi si accenna a questa comparsa senza entrare ulteriormente nel merito. Probabilmente nei testi canonici fu operava una sorta di autocensura dal momento che sarebbe stata inammissibile l’adorazione del Cristo da parte di “Μαγοι Μαγοι Μαγοι Μαγοι”, specie di stregoni come il famigerato Simon Mago (sconfitto da Pietro come si narra negli Atti degli Apostoli). Sotto il profilo storico, la vicenda ha inizio molto lontano, nelle terre di Persia, e narra di una casta sacerdotale, di stelle che annunciavano una miracolosa nascita e di tre persone (sovrani?) che si misero in cammino per venerarlo. * I Re magi nei testi apocrifi. Se questa è la base di partenza è logico rivolgere l'attenzione ai Vangeli apocrifi, in genere più ricchi di notizie sulla nascita e sulla fanciullezza di Gesù e, comunque, di aspetti generalmente ignorati della vita privata di Gesù. Ma la ricerca non è gratificante. In ogni caso il risultato è sempre lo stesso: su quattordi serie di testi, sette non trattano assolutamente l’argomento (Vangeli Gnostici; apocrifo Armeno; manoscritto di Chartres; Vangelo apocrifo di Tomaso; Manoscritto arabo C11 della Biblioteca Ambrosiana, Versione arabo-latina della storia di Giuseppe Falegname; Versione copta della Storia di Giuseppe Falegname). Tra i restanti sette gruppi di testi c'è da fare un distinguo: in cinque serie di testi ci sono solo notizie discordanti o incomplete e cioè: Il papiro Bodmer (relativo alla nascita di Maria) ne accenna al cap. 41 (versetti 8-15) con queste parole “Ed ecco che Giuseppe si preparò per andare nella Giudea. – E una grande confusione ebbe luogo – in Betlemme di Giudea. Erano, infatti giunti dei magi domandando: …”, ed ancora in cap. 42 (versetti 8 – 9) “I Magi vedendo che stava – con sua madre Maria, - estrassero doni dalle loro bisacce – oro, incenso e mirra …”, e sono semplicemente nominati in 42.16 – 17; da tale testo si comprende solo che dovevano essere in numero di tre. Il Protovangelo di Giacomo, cap. 21.1 afferma: “Poi Giuseppe si preparò a partire per la Giudea. In Betlemme della Giudea ci fu un grande trambusto, perché erano venuti dei Magi che dicevano ….”, abbiamo visto una stella nell’oriente e siamo venuti ad adorarlo”. Codici di Hereford (H) ed il Codice Arundel (A): Questi testi, sovrapponibili in larghissima parte, citano l’episodio ai capp. 86 – 90 – 92 fornendo l’unica indicazione dei doni e, quindi, solo indirettamente del numero. Nel Vangelo arabo dell’infanzia, si trova una notizia interessante e storicamente corretta, che si occupa dell’episodio ai capp. 7.1 ed 8.1; [7.1] “Dei magi vennero a Gerusalemme, come aveva predetto Zaradusht (***), portando seco doni: oro, incenso e mirra” mentre il successivo cap. 8.1 non aggiunge alcun elemento circa la provenienza, il nome ed il numero. Il Vangelo dello Pseudo Matteo si occupa dell’episodio al cap. 16.1, collocandolo diversamente nel tempo. “Trascorso il secondo anno dei Magi vennero dall’oriente a Gerusalemme portando grandi doni”. Infine i due gruppi di testi più interessanti e cioè “il libro della Caverna dei Tesori” (apocrifo arabo-siriano) cui si aggiunge un testo tardo la “Historia Trium Regum” di GIOVANNI DA HILDESHEIM, nella quale è raccolta, in un’unica narrazione, testi e frammenti – di provenienza sconosciuta – di apocrifi sui Magi. Ebbene il “Libro della Caverna dei tesori”, dice i Magi furono “re figli di re”. Nell’Apocrifo “Vangelo dell’Infanzia Armeno” è specificato un rapporto di parentela “(… questi magi erano tre fratelli..)” e vi sono forniti anche i nomi. L’uno e l’altro testo, sostanzialmente confermano il Papiro Bodmer [cap. 42] che, senza rivelarcene il numero, conteneva precisi riferimenti al numero dei doni. * Numero ed il Nome dei Magi. Il numero dei Magi (il numero “3”) va accettato con beneficio di inventario. Tra gli studiosi di essoterismo, il numero tre ha una valenza simbolica perchè indica l’intera umanità o, se si preferisce, le tre razze umane derivate dai figli di Noè: la semitica, la Camitica e la japetica, rispettivamente da Sem, Cam e Jafef. Ma c'è un’altra possibile spiegazione. Nell’antico Egitto il tre, Khem, era collegato ai moti lunari ed indicava “la manifestazione nel mondo del reale dell’Uno trascendente”, cioè la divinità trascendente che diventa immanente; concetto che si collega all’epifania del Cristo, il Dio fatto uomo. Né minore importanza riveste il problema del nome. È noto che presso i “popoli del libro” (ebrei ed arabi), il “nome”, o meglio la conoscenza del nome rivestiva grande valenza magica, come presa di possesso. Lo dimostra l’episodio biblico nel quale gli Elohim invitano Adamo a dare il nome a tutti gli esseri viventi (con questo significando la presa di possesso dell’uomo sugli altri esseri). Ancor meglio lo dimostra l’altro episodio, quello in cui Mosè s’imbatte nel roveto ardente. Quando Mosè chiede “chi sei?” in effetti non vuole la rivelazione della natura trinitaria compresa nella risposta “Io sono colui che è”, ma è un vero e proprio tentativo di impadronirsi del “nome” dell’essere nascosto nel fuoco. Ma torniamo ai Magi. Nel mondo attuale sono conosciuti con i nomi di GASPARE, MELCHIORRE e BALDASSARRE, anche se bisogna dire che non tutti sono d’accordo. I milanesi li hanno venerati con i nomi di RUSTICO, ELEUTERIO e DIONIGIO. Quali prove abbiamo? In un complesso monastico copto, in Egitto, le immagini dei Magi sono accoppiate ai nomi di Gaspar, Melechior e Bathesal. Melechior era il più anziano dei tre: il suo nome deriverebbe dall’aramaico Melech (signore, re). Il nome Baldassarre deriverebbe dal mitico re babilonese Balthazar, il che ripete genericamente, nel nome, la regione di approssimativa provenienza. Infine Gaspar, Gasparre, che i greci chiamavano Γαλγαλαθ Γαλγαλαθ Γαλγαλαθ Γαλγαλαθ, corrisponderebbe al signore di Saba. Anche Marco Polo accenna ai Re magi nel “Milione”ed, a ragione, la riconduce alla Persia. L’esploratore veneziano connette il Paese dei Magi a quello dei Sabei quando afferma che “… in Persia è la città chiamata Saba da la quale partirono tre re che andarono ad adorare Dio quando nacque ...". Un attento esame del testo ha portato gli studiosi alla conclusione che la citazione di Marco Polo non è corretta. Il viaggiatore non si riferiva proprio a “Saba” (che sarebbe stata individuata in una località dell’Etiopia), bensì a “Sawah” in Persia. Altri studiosi invece individuano la città di partenza del pellegrinaggio in “Ubar”. *Quanto durò il viaggio? Il viaggio dei Re Magi per Betlemme sarebbe durato 13 giorni. Ma neppure su questo punto c’è concomitanza di vedute. Si è detto che 13 giorni non sarebbero stati sufficienti a coprire la distanza tra l’Iran e la Palestina a dorso di cammello. C’è da dire che il numero 13, come tanti altri elementi di questa storia, ha un significato esoterico. 13 è numero sacro alla divinità lunare ed in questo significato è stato trasferito nella leggenda. Vero è che il numero 13, elemento di sacralità, è stato successivamente demonizzato sulla base di considerazioni estranee e contrarie a quelle che ne avevano determinato l’antica sacralità. Tredici divenne il numero delle compagnie nelle quali c’era un agnello sacrificale ed un traditore: con Giuda la compagnia degli apostoli contava 13 componenti e tale circostanza era comparsa e ricomparirà nei miti popolari. La credenza era viva ancora alla fine del I millennio d.C. Quando si formò la leggenda di Camelot, tra i 13 erano i cavalieri della tavola Rotonda, Re Artù ricopre la parte dell’agnello mentre Mordred quella del traditore. Ma c’è di più perché la tradizione anglosassone ritiene iettatorio il numero tredici e ancor oggi, negli Stati Uniti, la numerazione dei “floors” degli edifici salta il tredicesimo piano. *I Re magi ed il simbolismo. Scrittura steganografica del mito. In un tale complesso esoterico, il simbolismo assume una parte assolutamente di primaria importanza. In altre parole, intorno alla vicenda ruota un complesso di simboli che non sono limitati all’aspetto numerico particolarmente caro all’esoterismo orientale (come la Cabala e, in generale, all’esoterismo ebraico), anche se i passi neo-testamentari non vanno considerati come esempio di scrittura storica. Va ricordato però che la storia è sullo sfondo, la scrittura sacra ha lo scopo di esaltare la sacralità della figura del Cristo attraverso il ricordo delle sue opere – sia che la scrittura appartengano alla sinossi, che in parte anche agli apocrifi. Sulla base di questa scuola di pensiero vi è chi nega l’episodio dei “Re Magi”, ed a quella connessa alla “Strage degli innocenti” qualunque valenza storica essendo l’una come l’altra, sfornita di qualsiasi evidenza o prova storica. A parte la possibilità di considerare i due episodi elementi poetici del testo, molto più verosimilmente si può sostenere che, in maniera conscia o non, l’estensore o gli estensori siano stati condizionati dalla possibilità di creare una storicità “a priori”, configurando romani ed ebrei come i cattivi di turno che erano desinati a fare da contraltare di buoni a tutti i costi (i pastori ed i Magi). Nella vicenda della Natività esiste un altro elemento di scrittura steganografica di dubbia collocazione quando collegata al culto sacro. Questo elemento è la “grotta” (e, in alternativa alla “stalla”) – in cui sarebbe nato o sarebbe stato deposto Gesù. La grotta è indissolubilmente legata all’utero (della Dea Lunare) come anche ai culti ctonii. Basta pensare al culto di Proserpina che rinasce a Primavera uscendo da Ade per dare vita alla Primavera e numerose divinità – o semidivinità – nascono nella Grotta: Minosse, Dioniso, Mitra. Il famoso "pannello di Benevento" non ha bisogno di spiegazioni. Raffigura i magi a cavallo verso la Terra dove nascerà il Re di Israele.Lo sguardo dei sapienti è rivolto alla stella che, in alto a destra, indica la strada per giungere al Re dei Re. Quanto al numero dei Magi l'artista sembra essersi ispiratò alla tradizione dei Vangeli apocrifi, quelli che riportano anche i nomi dei magi. L'immagine della stella che guida i magi è presente nella Bibbia. Infatti nel libro dei Numeri c'è questo vaticinio che preconizza la vera Stella che nascerà da Giacobbe, quindi dal popolo di Israele: "Io lo vedo, ma non ora, io lo contemplo, ma non da vicino: Una stella spunta da Giacobbe e uno scettro sorge da Israele..." (Numeri, 24, 17). Gesù è la stella del mattino. Non a caso, la sua entrata in Gerusalemme, la domenica delle Palme, avverrà da Betfage, sul monte degli Ulivi, il colle dal quale, ogni mattina, si leva il sole su Gerusalemme. D’altra parte la mangiatoia dell’iconografia cristiana null’altro era se non un elemento del ricovero per animali. *La stella alle origini del mito. L'elemento della stella accomuna le varie redazioni del mito. I saggi – magi o maghi – invariabilmente si domandano e domandano “..dove è nato il re dei Giudei? Perché abbiamo visto la sua stella in Oriente e siamo venuti ad adorarlo..". È inutile stare qui a ripetere ragionamenti ben noti sulla valenza magico-esoterica della “Stella”: basta considerare che gli astri, penetrando con la loro luce nell’oscurità, diventano espressione dell’eterna lotta tra luce ed ombra, tra bene e male: gli antichi erano più sensibili agli aspetti simbolici che si ispiravano ai fenomeni celesti. Tra questi l’apparizione di una cometa era percepito come “prodigium” che letteralmente annunciava e rivelava la volontà divina (ne sapevano qualcosa i divinatori etruschi). E per Matteo la comparsa della “Stella” è in diretta relazione con la nascita di Cristo. Tutte le grandi divinità dell’antichità sono, in qualche modo, legate agli astri (come lo zodiaco che già all’epoca era plurimillenario). Gli astri in qualche modo governano il destino degli uomini e non a caso il faraone egiziano era chiamato “stella d’Egitto” (Tut-Ankh-Amon, era la “Stella del Cielo Meridionale” oggi nota come “Croce del Sud”). Gli studiosi, nel tentativo di dare una base storica alla vicenda, si sono arrovellati non tanto sul significato quanto sulla realtà fenomenica della stella che guidò i Magi alla fatidica “Grotta”. In realtà è un pò difficile ritenere circostanza meramente simbolica un evento di tale portata: in fondo per essa tre personaggi che – re o non re – rivestivano una indubbia importanza sul piano sociale si erano mossi per percorrere metà del mondo conosciuto! Si ritiene che la stella sia un fatto reale che, da solo, sostituisce la chiave di lettura dell’intera vicenda proprio per la sua realità: è, in altre parole quell’elemento oggettivo intorno al quale si crea il mito. E che condurrà a risultati sorprendenti. State formulate varie ipotesi per spiegare in termini reali un fenomeno astronomico oggi misurabile nello spazio e nel tempo. Generalmente si propende per il passaggio di una cometa. Ma quale cometa? Si parla della cometa di Halley, della quale gli astronomi conoscono perfettamente il periodo, l’orbita ed i tempi di passaggio in vista della Terra. E qui cominciano i problemi per la Halley; ha un periodo costante e si ripresenta puntualmente ogni 76 anni. A questo punto è facile calcolare che è transitata negli orizzonti terrestri intorno al 12 a.C. Ma questa data non coincide con quella nella quale Dionigi il Piccolo fissa come limite massimo per la natività. * Ipotesi della Nova o della Supernova:E-A e l’uomo-Pesce. Per alcuni si sarebbe trattato di una “Nova” o “Supernova”, fenomeno di straordinaria luminosità, visibile per un periodo abbastanza lungo per illuminare il cammino dei tre Magi dalla Persia a Betlemme. Un simile episodio non costituirebbe una novità. Come ci spiega il MICHANOWSKI – assirologo ed astronomo – l’esplosione di un’altra Supernova (“Vela X” avvenuta intorno al 4000 a.c. e cioè in piena protostoria) avrebbe dato origine al mito di E-A, suprema divinità sumerica (e poi assira). Vale la pena di soffermarsi sul mito ei E-A, perché pur non essendo accettabile come spiegazione della venuta dei Magi, presenta notevoli agganci con esso. E-A era signore di Ab-zu [Sumeria] e, oggettivamene spiegava il continuum di oceano e volta celeste posto a sud delle Mesopotamia, in pieno Golfo Persico. Uno dei suoi epiteti era Ha-Han che significava “uomo pesce”; si scriveva anche Han-Ha (pesce del cielo). E-A, in altri termini, era una divinità marina, individuata anche col nome di Mul-Nun-Ki (Vela X), signore delle costellazioni meridionali insediatosi nell’Oceano dopo che uccise Apsu. Qui la moglie di E-A generò Marduk. Si ritiene che la cometa abbia attraversato l’orbita di Marte (Marduk) che avrebbe impattato deviandolo dalla propria orbita con tale violenza da staccarne un frammento (Apsu). Il fenomeno sarebbe stato visibile ad occhio nudo nell’emisfero australe (golfo persico) nel corso del VI millennio a.C. Non è possibile, ovviamente, assumere Vela X o la vicenda astrale di Marduk – Apsu come stella dei Magi data la notevole differenza nella datazione. Tuttavia esiste un nesso ideale tra il mito di E-A e quello dei Magi che fa pensare ad una diversa soluzione che, in ogni caso costringe ad una riflessione. Forse non è un caso che i primi cristiani si riconoscessero con un segno in codice per cui uno tracciava nella polvere un semicerchio che l’altro completava incrociandolo con altro semicerchio e dando così vita al segno di un Pesce il cui nome greco (ιχθυσ ιχθυσ ιχθυσ ιχθυσ), era l’acronimo di Gesù Cristo figlio di Dio, Salvatore (ιησυσ χριστοσ τεου υιοσ σωτηρ ιησυσ χριστοσ τεου υιοσ σωτηρ ιησυσ χριστοσ τεου υιοσ σωτηρ ιησυσ χριστοσ τεου υιοσ σωτηρ). E non è neppure un caso che l’attributo di Nazareni (abitanti di Nazareth, ma anche seguaci di Gesù) era parola che significava “piccoli pesci”. Peraltro, all’ingresso in Gerusalemme Cristo fu accolto nel grido di “oannes” divenuto poi Osanna forse per errore di trascrizione. Gli Oannes, guarda caso, erano gli Dei delle popolazioni medio-orientali che erano rappresentati metà uomini e metà pesci! (come E-A ). *Ipotesi della congiunzione astrale. Una delle ipotesi che riscuotono maggior credito è quella di una straordinaria congiunzione planetaria. Più precisamente si fa riferimento alle congiunzioni Giove – Saturno rilevate nel segno dei Pesci tra Giove e Saturno tra il 29 maggio ed il 4 dicembre del 7 a.C. *Dove era situata la grotta delle natività? Sembra che in questa storia non esista sicurezza alcuna. Dove era situata la grotta della Natività? Tra i sinottici gli evangelisti Luca e Matteo la collocano a Betlemme; Marco e Giovanni a Nazareth. In realtà Bethlaem, la città della nascita del Cristo risponderebbe a Bethelem Haglilit villaggio a pochi chilometri da Nazaret. Sarebbero in tal modo appianate le divergenze tra gli evangelisti. Senonché san Girolamo ci ricorda che a Bethelem si adorava, da tempi immemorabili, Adone-Tammuz, divinità arborea legata alla grotta ed al ciclo di morte e resurrezione che richiama la vicenda terrena di Gesù. D’altra parte la vicenda del Cristo, tutta avvolta nel simbolo e nel mistero, non può essere scissa dai culti solari ed arborei che dalla fin protostoria popolavano il mondo degli uomini. Basta pensare alla data del 25 dicembre come giorno della nascita di Gesù. Questa fu una data di comodo o, se si preferisce, di compromesso, scelta per la natività messianica. Il 25 dicembre aveva il pregio di ricordare le origini solari del mito senza confondersi con esse; essere, in altra parole, abbastanza vicina al 21 (giorno del Solstizio d’inverno) senza confondersi con il “dies natalis solis” (ad esempio di Mithra). In tal modo lievitava che “un Dio nato da una Vergine nel solstizio d’inverno e resuscitato all’equinozio di primavera” divenisse l’equivalente della divinità solare.. *Chi erano nella realtà i Magi? In questo gigantesco complesso di simboli e di misteri senza fine, resta da valutare l’unico elemento storico oggettivamente valutabile: quello che riguarda la realtà oggettiva di Magi. Erano realmente i magi, espressione di una classe dell’antica Persia. Per il resto: non è sicuro che quelli della natività fossero Re, né dove conclusero la loro esistenza dopo il ritorno in Persia. I personaggi del Vangelo di Matteo e degli apocrifi non erano Re bensì saggi che certamente godevano di una posizione di privilegio notevole. La stima di cui godevano era la sola causa dell’attributo regio. In altre parole una classe o ceto sociale tipicamente iranico; probabilmente erano sciamani legati al culto degli astri e forse sacerdoti del Dio iranico Ahura Mazda. In qualità di sapienti – come voleva la scienza dell’epoca – erano anche Astronomi – Astrologi. E questa sapienza era famosa nell’antichità tanto che i greci li conobbero come µακοι µακοι µακοι µακοι o µαγοι ( µαγοι ( µαγοι ( µαγοι (o, ancora, Μαγουσαιοι Μαγουσαιοι Μαγουσαιοι Μαγουσαιοι); ma la loro fama andò ben oltre al punto che gli arabi, nel VII secolo, li chiamarono Magiu o Hashishin, Yâtucân in India. Per il resto pare che non fossero seppelliti, neppure in Persia ma, in un’unica tomba, a Costantinopoli. È a questo punto che si innesta la vicenda milanese della Storia dei Magi. A Costantinopoli Eustorgio, futuro vescovo di Milano, ne ricevette i resti mortali, dall’imperatore Costantino (325 d.C.) proprio in occasione delle sua investitura episcopale. Le spoglie dei Magi furono custodite i quello che ufficialmente fu chiamato “Sepulchrum Trium Magorum” in S. Eustorgio, dal 325 al 1164. Narra le leggenda che i portatori del Sarcofago, quando giunsero a Milano, soggiacquero alla fatica e non riuscirono a portare il pesante fardello oltre Porta Ticinese ed Eustorgio autorizzò la sepoltura in loco. Perché fanno la loro comparsa sulla scena evangelica permeata di un diverso tipo di cultura (ebraica)? Probabilmente per due motivi. In primo luogo la cultura ebraica era a sua volta pregna di misticismo esoterizzante e pronta a recepire un messaggio che, nella sostanza, aveva identiche caratteristiche pur provenendo da altrove. Infatti anche nel fronte ideale iranico, esistevano tendenze e motivazioni molto forti per l’attesa dell’avvento di un Sausyant, il Salvatore Universale vaticinato dalle stelle. Il Sausyant era l’inviato del Dio Mithra, ed era condiviso sia dal Mitraismo che dal Mazdeismo per identificarsi con il Buddha del futuro, il Bodisattva Maitreya delle cultura Indiana. A queste idee le legioni romane (tra il III ed il II sec. a.C.) avevano fatto da cassa di risonanza diffondendole nell’intero Impero tant’è che esistevano culti mithraici ed iranici fino alla Caledonia al punto che Bussagli individua, nel segno del Bodhisattva, la genesi del Graal. Ma nel IV sec. a.C. l’idea del Salvatore si era propagata ben oltre tali confini: il Maitreya era divenuto Miroku in Giappone mentre ad occidente si era confuso con l’Οξυαρτεσ Οξυαρτεσ Οξυαρτεσ Οξυαρτεσ di DIODORO SICULO e di CTESIA ed Uxyat-Ereta in Iran. L’idea di un salvatore divino entrò così anche nel mondo islamico sicché gli zoroastriani sono nominati, nella Sura 22, versetto 17 del Corano tra i seguaci delle Scritture, cioè tra le “Genti del Libro”. La parte più antica dell’Avesta entrava così a far parte della Rivelazione insieme al Pentateuco ed al Corano, agli apocrifi degli Atti degli Apostoli (in particolare la Caverna dei Tesori, ed il vangelo Arabo dell’Infanzia di Gesù) come affermò lo storico arabo al-Tahari (848-923). La complessità di queste vicende, unita alle inevitabili contraddizioni cui va incontro chi tenta una ricostruzione storica, ha indotto alcuni ricercatori a percorrere una nuovo strada. È il caso di Giuseppe Badalucco, che parte dalla considerazione che i Vangeli canonici furono composti, tra il 50 ed il 100 d.C., da “autorevoli Membri della prima comunità cristiana, nell’intento di porre in luce un insieme di verità storiche e teologiche sulla figura di Gesù Cristo, accompagnando alla cronaca della vita del Messia i primi elementi della dottrina cristiana che furono successivamente oggetto di sviluppo nel momento della nascita della teologia cristiana”. Lo sviluppo di questa teoria, si svolge sul filo dell’analisi dei testi di Matteo (1, 18-25; 2, 1-12; 13-15; 16-18 e 19-23) e Luca (1,1-4; 26-38; 39-45; 2, 1-7; 8-20; 21-24;28-38; 39-40). Dopo le analisi condotte si arriva alla conclusione che i Magi “sono figure simboliche rappresentative del mondo Pagano (gentili) che si avvicina e che sarà convertito alla fede in Cristo, unico Salvatore”. *Gli sviluppi della vicenda italiana. L’Italia non è rimasta estranea all’avventurosa vicenda dei Magi attraverso il suo primo Vescovo, Sant’Eustorgio. La sua basilica Chiesa milanese nell’alto Medioevo fu meta incessante di pellegrinaggi di coloro che volevano venerare le leggendarie reliquie. Nel 1162 Federico Barbarossa, vittorioso sui Milanesi, decise di traslare a Colonia le presunte reliquie. Vari personaggi storici ne chiesero la restituzione, senza ottenerla: Ludovico i Moro (nel 1494) con l’aiuto autorevole del Papa Alessandro VI. Ci provarono in successione inutilmente Filippo II di Spagna, Pio IV, Gregorio XIII e Federico Borromeo. Solo il Cardinale Ferrari, nel 1903, riuscì ad ottenere qualche ossicino che tutt’ora custodito sopra l’Altare dei Magi in Sant’Eustorgio. Purtroppo le reliquie sono scomparse anche dal duomo di Colonia distrutto durante un bombardamento della la II guerra Mondiale.

La Ragazza Che Nacque Da Una Palma Da Cocco. de "Il meraviglioso mondo di Shangri-La"


...C'era una volta un paese dove dappertutto crescevano palme da cocco. Gli abitanti non avevano mai fame, perché in ogni momento potevano salire su un albero o scuoterlo e mangiare una noce di cocco. Il re di quella terra naturalmante aveva più cocco di tutti gli altri abitanti del paese. Aveva anche sette mogli, ma nessuna di loro era mai stata in grado di dargli un figlio o una figlia. Il re era molto triste perché non aveva mai provato la grande emozione di stringere tra le braccia un figlio suo. Inoltre non aveva discendenti. "Chi governerà il mio popolo quando io non ci sarò più?", si chiedeva spesso il re. Ci fu un anno in cui il raccolto di noci di cocco fu particolarmente ricco e abbondante. Un giorno i domestici del re stavano lavorando il cocco per ottenere il prezioso olio. Il re, che era passato a controllare, non aveva mai visto la cisterna così piena. Ma diventò subito triste, perché pensare ai raccolti precedenti gli aveva fatto venire in mente che stava invecchiando. Con gli occhi bassi e le mani appoggiate alla cisterna, il re pregò di avere finalmente un erede. All'improvviso, una voce dolce mormorò dall’interno dalla cisterna: "Padre, fammi uscire da qui. Sono tua figlia.". Il re vide una giovane e bellissima fanciulla, elegante e solare. Il sovrano la chiamò Bella e chiamò le ancelle affinchè si occupassero di lei. Le fece costruire una casa senza camino, perché lei era nata dall'olio e il re aveva paura che il calore le facesse male. Bella era amata e rispettata da tutti e ognuno pensava che il regno sarebbe stato in buone mani. Arrivò l'inverno e tutti accesero i camini. Solo Bella non poteva mai stare al caldo. Un giorno, mentre nessuno la stava guardando, andò in cucina e si avvicinò al caminetto. Il re e i domestici non fecero in tempo ad aiutarla: il fuoco la lambì in un attimo e Bella scomparve per sempre.

Kore e i sei semi di melagrana. de "Il meraviglioso mondo di Shangri-La"

...Demetra, Dea delle messi, aveva una figlia di nome Kore. Un giorno, Kore mentre raccoglieva fiori, vide la terra aprirsi sotto ai suoi piedi e da essa uscì Ade, re dell'Oltretomba, sopra ad un carro trainato da quattro cavalli neri come la pece. Ade si era innamorato della fanciulla e, per questo era uscito dal suo nero regno per portarsela via con sé. Le grida di disperazione di Kore si udivano ancora nell'aria, ma ormai essa era dentro la voragine, rapita dal feroce Ade. Demetra in quel istante sentì le urla e dopo essersi vestita a lutto cominciò a vagare in cerca di Kore. Vagò nove giorni e nove notti senza ottenere nulla e alla fine si recò da Elios, il sole, che aveva visto tutto quello che era successo."Demetra, non cercare Kore.", disse ed aggiunse: "Tua figlia ora é la sposa di Ade ed il suo nuovo nome é Persefone.". Udite queste parole, Demetra, che era la più mite degli Dei, emise un urlo talmente forte che di colpo tutti i fiori e le piante smisero di crescere.Dopo poco tempo la terra diventò un deserto e nulla valse la supplica degli Dei... Demetra non si placò.Allora Zeus, ordinò ad Ade di riportare la fanciulla sulla terra, purché non avesse ancora mangiato il cibo dei morti. Persefone aveva ingerito solamente sei semi di melagrana, portati dal giardiniere Ascolaphus e così Ade dovette rassegnarsi. Appena giunse sulla terra, la fanciulla corse subito ad riabbracciare la madre Demetra che, immediatamente cessò la sua collera facendo tornare la terra verde e piena di fiori. Zeus, allora, si avvicinò a Persefone, e le disse che ogni anno sarebbe dovuta rientrare nell'Oltretomba per sei mesi come sposa di Ade e, per ogni seme che aveva mangiato ci sarebbe stato un mese d'inverno. Gli altri sei mesi, ossia la primavera e l'estate, Persefone sarebbe tornata al mondo dei Vivi vicino a sua madre Demetra.

La Curiosità di Pandorae. de "Il meraviglioso mondo di Shangri-La"

...Erano troppo cattivi e superbi gli uomini da qualche tempo. Giove, il possente nume che governava il Cielo e la Terra ne era proprio stanco."Bisogna punirli.", si disse. E, chiamato presso il suo trono il fabbro Vulcano gli comandò di fabbricargli una donna. "Fabbricare una donna!!! Ma non é la stessa cosa che cesellare lo scudo di Minerva o sbalzare l'armatura di Marte!", gli disse. "Obbedisci!!", ripeté Giove, severo. "Ho bisogno di castigare gli uomini che stanno diventando veramente malvagi!". E Vulcano obbediente se ne tornò alle sue fucine e cominciò a costruire la donna. Con le braccia vigorose, la modellò in argilla dal capo alle piante, la fece disseccare, le plasmò con dita sapienti un volto soave, la colorò di tenero rosa e le diede come anima una scintilla del fuoco divino che ardeva nei forni immensi dell'Olimpo. Allora la donna aprì gli occhi, sorrise e le sue membra si mossero con grazia; era in tutto simile alle bellissime Dee. Accorse Minerva ad ammirarla e le donò una cintura di perle e un abito ricchissimo di porpora e gemme; le Grazie le adornarono il petto e le braccia di gioielli scintillanti; Venere, la dolce Dea dal sorriso adorabile, sparse sulla testa della fortunata ragazza tutte le più squisite grazie femminili, mentre le Ore dalle lunghe trecce dorate inghirlandavano la donna appena creata con serti di rose vellutate e profumate. Anche Giove volle offrire il suo dono alla bellissima mortale, prima di mandarla fra gli uomini."Io ti metto nome Pandorae.", disse Giove. "E il tuo nome vuol dire la donna "di tutti i doni" e a quelli che hai ricevuto ora, aggiungo il mio. Eccolo, tu porterai questo vaso con te, quando andrai sulla terra. Esso contiene tutti i mali che possono far piangere, soffrire, rovinare gli uomini. Guardati dunque dall'aprirlo, essi sfuggirebbero tutti per il mondo; mentre invece chiusi lì dentro, rimarranno imprigionati in eterno e non potranno nuocere a nessuno.". La donna accolse grata il dono del nume e su di un cocchio a forma di cigno, scese sulla Terra ove il Fato aveva stabilito che dovesse diventare la sposa di un re. Ma la curiosità, a poco a poco, prese a roderle il pensiero: che cosa dunque conteneva il prezioso vaso intarsiato donatole da Giove? Tutti i mali aveva detto il nume? Ma come erano fatti? Quali erano? E se avesse aperto appena un pochino il coperchio e avesse curiosato con precauzione da uno spiraglio? Piano piano la donna sollevò il coperchio, ficcò il viso nella breve fessura, ma dovette staccarsene subito inorridita. Un fumo denso, nero e acre usciva a folate enormi dal vaso e mille fantasmi orribili si delineavano in quelle tenebre paurose che invadevano il mondo e oscuravano il sole. C'erano tutte le malattie e tutti i dolori e tutte le brutture e tutti i vizi. E, tutti rapidi, inafferrabili, violenti, uscivano dal vaso irrompendo nelle case tranquille degli uomini. Invano Pandorae, cercava affannosamente di chiudere il vaso, di trattenere i Mali e di rimediare al disastro. Il Fato inesorabile si compiva e da quel giorno la vita degli uomini fu desolata da tutte le sventure scatenate da Giove. Quando tutto il fumo denso fu svaporato nell'aria e il vaso parve vuoto, Pandorae guardò nell'interno: c'era ancora un grazioso uccellino azzurro; era la Speranza, l'unico bene rimasto ai mortali a conforto delle loro sventure. Giove aveva punito gli uomini con la curiosità rovinosa di Pandorae, aveva voluto che i Mali fossero liberi di causar loro infiniti castighi, ma aveva anche donato alla vita travagliata che egli stesso aveva imposto all'umanità, un dolce azzurro conforto: la Speranza che non abbandona nessuno.

Le Arance d'ORO. de "Il meraviglioso mondo di Shangri-La"

...C’era una volta un re che avev un giardino con moltissimi alberi. Erano tutti belli, ma il pìù pregiato era quello dalle arance d'oro. Il re controllava spesso che nessuno rubasse le arance, ma c’era un cardellino che faceva addormentare chiunque facesse la guardia, anche il re in persona. Allora il re fece annunciare che avrebbe dato una ricompensa a chi gli avrebbe portato vivo o morto quel cardellino dispettoso. Un giorno, al castello, si presentò un contadino, che voleva la mano della principessa in cambio del cardellino . Il re non era d’accordo, ma accettò lo stesso. Quando il giovane tornò col cardellino, il re perònon mantenne la parola data , perché non voleva per genero uno zoticone. Il re cominciò a fare i dispetti al cardellino, per farsi dire dov’erano nascoste le arance. "Sono nella grotta delle sette porte, custodite dal mercante col berretto rosso e bisogna sapere il motto, conosciuto solo dal mercante e dal contadino.". Il re, allora, mandò a chiamare il contadino e gli disse che in cambio del motto gli avrebbe dato in sposa sua figlia, la principessa. Il giovane che non aspettava altro, gli rivelò la frase: "Secca risecca! Apriti, Cecca.". Il Re andò alla grotta e ci trovò molti diamanti grossi e bellissimi ed anche le arance d'oro. Ma uscito dalla grotta, dove il contadino lo stava aspettando, di nuovo non mantenne la sua parola. Quando arrivò a palazzo al posto delle arance d’oro trovò arance marce e i diamanti erano diventati dei gusci di lumaca. Il re allora riprese a far dispetti al cardellino, che gli disse: "Per riavere le arance, devi conoscere un altro motto, e lo sanno due sole persone : il mercante e il contadino.". Il re mandò a chiamare il giovane contadino e gli propose un altro patto. Il contadino era molto innamorato della principessa e così accettò. Il re fece molti viaggi alla grotta e tornò più volte coi sacchi colmi di arance d'oro, ma nemmeno questa volta mantenne la parola che aveva dato al giovane. Un giorno la principessa disse al re che avrebbe voluto tenere il cardellino nella sua stanza e fu accontentata, ma il cardellino smise di cantare. Spiegò alla principessa che non cantava perché il suo padrone era sempre triste e piangeva pensando a lei. E aggiunse che il contadino era molto più generoso e signore dello stesso Re . La principessa disse: "Se è vero, va a chiamarlo che lo voglio sposare.". Ma una volta libero, il cardellino non ritornò più . Arrivò invece un ambasciatore del Re di Francia che la chiedeva in moglie, ma la principessa disse decisa che non voleva sposarsi e non cambiò idea nemmeno quando il Re di Francia giunse al palazzo . Il re era molto imbarazzato e il pretendente disse: "Portate questo regalo alla principessa.". Era una scatolina tutto d'oro e di brillanti, ma la principessa che piangeva sempre lo posò sul comodino senza neppure aprirlo. "Cardellino traditore, tu e il tuo padrone.", si lamentava. "Non siamo traditori, né io, né il mio padrone.", rispose il cardellino dalla scatolina . Quando il re seppe chi era in realtà il contadino, diede in dote alla figlia l'albero dalle arance d'oro. Il giorno dopo si celebrarono le nozze e la principessa e il re di Francia vissero felici e contenti.

Il Vento fuori Stagione. de "Il meraviglioso mondo di Shangri-La"


...In un lontano paesino, viveva un vecchio mago egoista che aveva rubato il venticello di primavera per averlo solo per sé. In un giorno di pioggia, il mago uscì a prendere il giornale e portò con sé la sua borsa magica con dentro tutti i suoi segreti e le sue armi incantate. Dentro alla borsa aveva anche la scatola dove aveva rinchiuso la brezza profumata di fiori che soffia solo all'inizio della primavera. Mentre stava camminando, inciampò in un cagnolino che stava attraversando la strada. La borsa si aprì e tutto si sparse sul marciapiede. Cadde anche la scatola con il vento, che si aprì e fece scappare quello che c'era dentro. Purtroppo era il mese di ottobre e la brezza primaverile non sapeva dove andare. Non poteva soffiare, perché tutti gli animali che erano appena andati in letargo per affrontare l'inverno si sarebbero svegliati all'improvviso e avrebbero avuto uno choc, sentendo già caldo. Anche le piante, che si stavano preparando alla stagione fredda, avrebbero sofferto. Quindi, per alcuni giorni il vento primaverile rimase in alto, vicino alle nuvole, per non dare fastidio a nessuno. Tutti i bambini che si erano accorti che qualcosa non andava, cominciarono a pensare a come risolvere il problema. Sapete chi li aiutò? Un vento tropicale, che passava da lì per caso vide la giovane brezza primaverile e lo portò con sé. "Trascorrerai l'inverno con me in un paese caldo. In primavera tornerai qui.", disse il vento caldo. E così animali e piante rimasero tranquille in attesa del freddo e della neve.

Il Sogno: "Cavalcare Pegasus". de "Il meraviglioso mondo di Shangri-La"


...Bellerofonte era nipote di Sisifo occhio-di-lince e aveva un unico sogno nella vita: galoppare su Pegasus, il cavallo alato. Quando Perseo aveva decapitato la Medusa, il suo sangue era sprofondato nella sabbia. Quella stessa notte era nato uno splendido destriero alato e gli Dei lo avevano chiamato Pegasus, decretando che poteva essere cavalcato solo da un grande eroe. Bellerofonte voleva essere quell' eroe.Un giorno, mentre si trovava presso Iobate, re della Licia, questi gli chiese un grosso favore. Gli disse che il re di Caria, suo acerrimo nemico, aveva mandato nella Licia la Chimera: un terribile mostro che aveva la testa di capra, il corpo di leone e la coda di serpente, e dalle fauci emetteva un micidiale alito di fuoco capace di sterminare interi eserciti. "Se solo potessi ucciderla!", sospirò il re. "I miei soldati sarebbero salvi e tu saresti un grande eroe!". La massima ambizione di Bellerofonte era appunto diventare un eroe, ma non aveva proprio idea di come uccidere la Chimera. Così andò a consultare un oracolo. "Prima devi catturare il cavallo alato mentre si abbevera alla fonte di Pirene, a Corinto. Poi devi domarlo con il morso d'oro di Atena. Solo così potrai sconfiggere il mostro.", disse l'oracolo. Bellerofonte era felice, ma come poteva ottenere da Atena quel morso d'oro? Si incamminò verso Corinto, trovò la fonte e si distese a dormire lungo la riva. Prima di chiudere gli occhi implorò la Dea di aiutarlo. La notte fece uno strano sogno: lo prendeva per mano una bellissima donna con l'elmo alato e gli occhi azzurri, e gli indicava un cespuglio coperto di foglie spinose. La donna era Atena e sotto il cespuglio c'era un morso d'oro finemente cesellato. La mattina dopo Bellerofonte fu svegliato dal grido di una civetta. Balzò in piedi e li, proprio davanti a lui, c'era il cespuglio spinoso che aveva visto nel sogno! Andò a scostare le foglie e tirò fuori il morso d'oro. E in quel preciso momento vide Pegasus che scendeva dal cielo per abbeverarsi. Mentre il cavallo ripiegava sui fianchi le grandi ali candide, Bellerofonte gli infilò il morso d'oro, con delicatezza, e poi gli balzò in groppa. "Si va in Asia.", gli disse, e docilmente Pegasus si librò nel cielo e cominciò a volare verso est. Ben presto videro sotto di loro una foschia di fumo e udirono un clangore di battaglia. Era la Chimera che stava annientando un drappello di soldati! Bellerofonte le tirò addosso una grandinata di frecce, ma il mostro sembrava imbattibile. Allora, spronando Pegasus a scendere piu vicino, riuscì a scagliare una lancia nelle sue fauci. Il mostro la inghiottì rabbiosamente, ma sulla punta della lancia era infisso un blocchetto di piombo e nel calore di quella gola infuocata il piombo cominciò a fondere e scivolò nelle viscere della Chimera come una colata rovente, uccidendola. Per premiarlo Iobate volle che Bellerofonte sposasse sua figlia e diventasse suo erede al trono. Ma ben presto l'eroe ebbe un gran desiderio di galoppare di nuovo su Pegasus. Così, in una bella mattina d'estate, gli mise il morso d'oro e gli saltò in groppa. "Vola, Pegasus, vola! Vola all'Olimpo perché io veda i famosi dei nei loro palazzi!", gridò con superbia. Zeus ne fu irritato. I mortali non potevano violare i segreti degli Dei! Per punirlo, mandò una zanzara a pungere Pegasus sotto la coda: il cavallo fece uno scarto e Bellerofonte precipitò verso terra. Pegasus riprese il volo e salì all'Olimpo, dove ora Zeus lo usa per portare i suoi fulmini in giro per il cielo. Quanto a Bellerofonte, l'orgoglioso eroe cadde tra i rovi e Zeus lo mandò a vagare nel mondo, cieco e zoppicante, per il resto della sua miserabile vita.

Il Sogno di Volare: Icaro e Dedalo. de "Il meraviglioso mondo di Shangri-La"

...Ad Atene nacque il primo uomo che scolpì la pietra, che cesellò i metalli, che insegnò le leggi dell'architettura. Si chiamava Dedalo e fu veramente un artista incomparabile ed un ingegno complesso e meraviglioso. Dedalo fabbricava statue così belle e modellate con tanta perfezione da sembrare animate di vita, cesellava i troni degli Dei e i treppiedi preziosi per i templi divini, costruiva palazzi fantastici e sapeva in ogni circostanza ideare nuove geniali opere d'arte.Un suo nipote, Talo, rassomigliava, per ingegno a lui: aveva trovato un giorno nella campagna una mascella di serpente ed aveva avuto l'idea di servirsene per segare un ramo d'albero. Il risultato fu così brillante, che Talo, pensò di tagliare nel ferro una serie di denti e di adoperarlo per segare i tronchi. Aveva così inventato la sega.Dedalo capì subito che il nipote aveva veramente un grande talento e, temendo di essere in seguito eclissato da lui, lo condusse una mattina sull'alta Acropoli e, a tradimento lo gettò nel vuoto. Ebbe un bel dichiarare poi davanti all'Areopago che era accaduta una disgrazia: non gli credettero e, per punizione, fu mandato a Creta in esilio. Qui Minosse, re di Creta, aveva una figlia ancora bambina, a cui, come a tutti i ragazzi, piacevano i balocchi. Dedalo, appena giunto alla corte del re, per ingraziarsi la principessa, le costruì il meraviglioso giocattolo animato che ora vi descrivo.Scolpite nel marmo più puro, alcune fanciulle danzavano in cerchio insieme con molti fanciulli che tenevano per mano. Le fanciulle erano incoronate di viole e vestite di tuniche lievi come nuvole;i giovanetti tenevano sopra le corte tuniche di porpora, piccole spade d'oro sospese a cinture d'argento. A volte essi ballavano in tondo in rapidi giri di danza, a volte rompevano il cerchio e descrivevano graziose figurazioni, mentre nel mezzo, due danzatrici più abili componevano deliziosi balletti. La principessina rimase attonita e felice dinanzi a quel dono, e il re Minosse prese al suo servizio l'artista. Poiché a quel tempo il paese era devastato da un mostro mezzo uomo e mezzo toro, Minosse incaricò Dedalo di costruire un palazzo sotterraneo in cui rinchiudere lo spaventoso animale. Così l'architetto abilissimo costruì il famoso Labirinto. Ma purtroppo il mostro fu sconfitto da Teseo e, Minosse quando lo seppe saperlo, montò su tutte le furie e incolpò Dedalo dell'accaduto.Per punirlo il re, rinchiuse l'architetto e suo figlio Icaro nello stesso Labirinto. Dedalo, che non poteva sopportare a lungo l'odiosa prigionia, volle tentare a qualunque costo, l'evasione. L'unica via libera era quella dell'aria. Perciò Dedalo costruì per sé e per suo figlio due paia d'ali tessute di piume leggere; le attaccò con cera alle spalle e alle braccia di Icaro e se le fissò anch'egli al dorso, poi attese che i servi dormissero e rivoltosi al figliolo gli disse: "Seguimi Icaro.", raccomandò al figlio. "E non temere nulla: abbi soltanto cura di restare presso di me come un uccellino appena uscito dal nido. Non ti lasciar tentare dall'altezza: il fuoco del Sole brucerebbe le tue ali, e non scendere troppo in basso, ché l'umidità le appesantirebbe.". "Ti obbedirò padre.", rispose Icaro. Fiducioso Dedalo si lanciò nello spazio, mentre Icaro lo seguiva. Sotto si stendevano azzurre e calme le acque dell'Egeo e vi si specchiava sfolgorante, il Sole. Passavano i due uomini alati, Dedalo e Icaro, sul mare, e gli uccelli fuggivano spaventati. Costeggiavano le isole e i pastori alzavano gli occhi stupiti credendo a visioni fantastiche, mentre i contadini gridavano: "Sono Numi scesi dall'Olimpo, volano con ali di piume verso il Sole!". Icaro udiva quei gridi di stupore e si sentiva inorgoglire sempre di più. Gli pareva quasi di essere una divinità, così alto nello spazio, così libero e veloce fra le nuvole. Doveva essere anche più bello avvicinarsi al cielo, attraversare le eccelse vie dove le stelle serene e i mondi si inseguono eternamente. Tentare un volo audace vicino al Sole, per guardare da presso l'immenso Astro luminoso. Icaro quasi senza accorgersene, trascinato dal suo stesso desiderio, si allontanò a poco a poco dalla scia tracciatagli dal padre che lo precedeva. E si portò in rapida ascesa, verso la regione alta del firmamento; ma il calore ardente del Sole rammollì presto la cera profumata che faceva aderire alle sue spalle le ali, sciolse le piume dell'armatura che le teneva insieme e le fece precipitare nelle onde sottostanti. Icaro cercò invano di rimanere sospeso nell'aria battendo affannosamente le braccia. Cadde nel mare e la schiuma lo ricoprì. Da allora quel mare si chiamò Mare Icario. Dedalo, accortosi tardi dell'imprudenza di Icaro, non poté far nulla per evitare la tragica morte del figliolo nell'Oceano e dovette proseguire il volo, finché arrivò a Cuma. Qui costruì un tempio magnifico dedicato ad Apollo e vi consacrò le sue ali prodigiose. Ma l'angoscia per la morte tragica di Icaro era così immensa, che Dedalo non trovò altra consolazione che mettersi a scolpire sulle porte del tempio tutta la storia di Minosse e della sua discendenza. Il cesello magnifico creò una fantastica, mirabile opera d'arte. Ma quando il povero padre giunse a scolpire l'episodio della sua fuga dal Labirinto e la morte di Icaro, le mani gli tremarono di commozione, il bulino gli cadde a terra, e l'opera rimase incompiuta a quel punto.

La Camicia dell'Uomo Contento. de "Il meraviglioso mondo di Shangri-La"


...Un Re aveva un figlio unico e gli voleva bene come alla luce dei suoi occhi. Ma questo Principe era sempre scontento. Passava giornate intere affacciato al balcone, a guardare lontano. "Ma cosa ti manca?", gli chiedeva il Re. "Che cos'hai?2. "Non lo so, padre mio, non lo so neanch'io.". "Sei innamorato? Se vuoi una qualche ragazza dimmelo, e te la farò sposare, fosse la figlia del Re più potente della terra o la più povera contadina!". "No, padre, non sono innamorato.". E il Re a riprovare tutti i modi per distrarlo! Teatri, balli, musiche, canti; ma nulla serviva, e dal viso del Principe di giorno in giorno scompariva il color di rosa. Il Re mise fuori un editto, e da tutte le parti del mondo venne la gente più istruita: filosofi, dottori e professori. Gli mostrò il Principe e domandò consiglio. Quelli si ritirarono a pensare, poi tornarono dal Re. "Maestà, abbiamo pensato, abbiamo letto le stelle; ecco cosa dovete fare. Cercate un uomo che sia contento, ma contento in tutto e per tutto, e cambiate la camicia di vostro figlio con la sua.". Quel giorno stesso, il Re mandò gli ambasciatori per tutto il mondo a cercare l'uomo contento. Gli fu condotto un prete: "Sei contento?", gli domandò il Re. "Io si, Maestà!". "Bene. Ci avresti piacere a diventare il mio vescovo?". "Oh, magari, Maestà!". "Va' via! Fuori di qua! Cerco un uomo felice e contento del suo stato; non uno che voglia star meglio di com'è".. E il Re prese ad aspettare un altro. C'era un altro Re suo vicino, gli dissero, che era proprio felice e contento: aveva una moglie bella e buona, un mucchio di figli, aveva vinto tutti i nemici in guerra, e il paese stava in pace. Subito, il Re pieno di speranza mandò gli ambasciatori a chiedergli la camicia. Il Re vicino ricevette gli ambasciatori, e: "Si, si, non mi manca nulla, peccato però che quando si hanno tante cose, poi si debba morire e lasciare tutto! Con questo pensiero, soffro tanto che non dormo alla notte!". E gli ambasciatori pensarono bene di tornarsene indietro. Per sfogare la sua disperazione, il Re andò a caccia. Tirò a una lepre e credeva d'averla presa, ma la lepre, zoppicando, scappò via. Il Re le tenne dietro, e s'allontanò dal seguito. In mezzo ai campi, sentì una voce d'uomo che cantava la "falulella". Il Re si fermò: "Chi canta cosi non può che essere contento!", e seguendo il canto s'infilò in una vigna, e tra i filari vide un giovane che cantava potando le viti. "Buon di, Maestà.", disse quel giovane. "Così di buon'ora già in campagna?". "Benedetto te, vuoi che ti porti con me alla capitale? Sarai mio amico.". "Ahi, ahi, Maestà, no, non ci penso nemmeno, grazie. Non mi cambierei neanche col Papa.". "Ma perché, tu, un cosi bel giovane...". "Ma no, vi dico. Sono contento così e basta.". " Finalmente un uomo felice! ", pensò il Re. "Giovane, senti: devi farmi un piacere.". "Se posso, con tutto il cuore, Maestà.". "Aspetta un momento.", - e il Re, che non stava più nella pelle dalla contentezza, corse a cercare il suo seguito: "Venite! Venite! Mio figlio è salvo! Mio figlio è salvo.". E li porta da quel giovane. "Benedetto giovane.", dice, "ti darò tutto quel che vuoi! Ma dammi, dammi...". "Che cosa, Maestà?". "Mio figlio sta per morire! Solo tu lo puoi salvare. Vieni qua, aspetta!", e lo afferra, comincia a sbottonargli la giacca. Tutt'a un tratto si ferma, gli cascano le braccia. L'uomo contento non aveva camicia.

sabato 11 settembre 2010

Aracniae dalle mille tele e dai mille merletti... de "Il meraviglioso mondo di Shangri-La"

...Bella, fiera, saggia, La Dea Minerva amava i tumulti delle battaglie, dove i volti degli eroi sembravano trasfigurati da una luce gloriosa. Ma Minerva, era donna e amava anche e, non meno, le tranquille gioie della pace. Le sue instancabili dita sapevano tessere meravigliosamente bene e sapevano creare ricami preziosi arazzi di mirabile fattura. Nessuna Dea, nessuna Ninfa, nessun mortale potevano starle a paragone e, le donne di Grecia si vantavano di essere abili a ricamare perfettamente, perché lo avevano appreso dall'arte incomparabile della Dea guerriera. Ma nella Lidia abitava una fanciulla orgogliosa, Aracniae, la quale non voleva saperne di dovere la propria bravura agli insegnamenti divini. Tesseva, cuciva, e ricamava così bene che, per ammirare le sue tele smaglianti, le Ninfe scendevano dai verdeggianti recessi dei boschi e, curvandosi stupite sul telaio di Aracniae, le chiedevano: "Ti ha insegnato la saggia Minerva a tessere così, o Aracniae dalle dita divine?". "Nessuno mi ha insegnato.", rispondeva la fanciulla. "Io ricamo col mio cuore e con l'abile pazienza delle mie dita.". Minerva seppe dalle Ninfe pettegole la risposta orgogliosa della fanciulla di Lidia e scese sulla terra sotto forma di una vecchia rugosa."Toc toc!...", fece la Dea picchiando alla porta della fanciulla. "Hai un tozzo di pane per questa vecchina stanca?". "Entra pure nonnina.", rispose Aracniae, che stava come al solito tessendo al telaio. "Che tele meravigliose!", esclamò la vecchietta accostandosi. "E che merletti fini e leggeri! Solo la guerriera figlia di Giove, la saggia Minerva, potrebbe farne di così belli.". "Vorrei che venisse qui a misurarsi con me! Credo che la vincerei la dea che si crede invincibile!", disse Aracniae. "Tu credi? Ascolta la saggezza dei miei capelli bianchi, Aracniae; non essere così orgogliosa e non sfidare gli Dei, potresti pentirtene!". "E perché? Né Dea né donna supera la mia abilità sul telaio! Perché pentirmene?", ribatté sicura la fanciulla, accarezzando le sete smaglianti che le servivano a ricamare. "E allora accetto la sfida!", gridò indispettita la Dea. E nello stesso attimo le sue rughe cave scomparvero, i capelli bianchi si accesero di bagliori dorati, la schiena curva si raddrizzò. Dinanzi agli occhi stupiti di Aracniae, il corpo della Dea si erse, splendido di bellezza, e un lampo di minaccia folgorò la tessitrice tremante."Siediti, cominciamo la gara!", impose la Dea. E le due fanciulle ciascuna dinanzi ad un telaio si misero al lavoro. Per giorni e notti silenziose, instancabili, rimasero chine sugli arazzi da ricamare. Aracniae, istoriò gli episodi più belli della vita dei Numi e Minerva la magnificenza dell'Olimpo. Alla fine i due lavori avevano raggiunto una tale bellezza da sembrare viventi scene da sogno; sugli sfondi vellutati delle sete le figure e gli alberi e i fiori balzavano stupendamente in rilievo e nessuno avrebbe potuto dire se la palma spettasse alla Dea o alla fanciulla di Lidia. Ciascuna tela aveva una propria magnificenza. Minerva, irritata, strappò in cento pezzi il lungo lavoro di Aracniae, gridando: "Orgogliosa donna, tu devi morire, poiché hai sfidato oltraggiosamente una Dea!". Ma poi, impietosita dalle lacrime della fanciulla, che, dopo aver visto il suo paziente ricamo di tante notti finire in brandelli, attendeva terrorizzata la morte aggiunse: "Invece di darti la morte, voglio essere generosa con te, tu vivrai, ma la tua vita sarà eternamente appesa ad un filo!". La toccò sulle spalle con la lancia dorata e la tessitrice si fece piccola piccola, il corpo le si aggrinzì, il capo divenne un peloso batuffolino nero, le gambe snelle si trasformarono in tante zampette sottili.La fanciulla era diventata un grosso ragno nero! E da quel giorno, eternamente, tessé le sue tele sottili negli angoli tranquilli, le tese tra i rami e i cespugli, ove l'ombra cupa dei boschi le circondava di umidi vapori, le tese ove il Sole, sfolgorando lieto sul mondo, le faceva scintillare di riflessi cangianti.

Figlie del Mare. de "Il meraviglioso mondo di Shangri-La"

...Le Sirene erano, nei lontani tempi mitologici, le affascinanti figlie dell'Oceano. Abitavano presso l'isola di Sardegna e, posate sugli scogli o fra le onde, attendevano i naviganti per incantarli. Avevano volti bellissimi di donna e corpo terminante in coda di pesce, e il loro canto era così armonioso che nessuno poteva ascoltarlo senza esserne ammaliato inesorabilmente. I marinai, per udire le loro voci melodiose, dimenticavano di mangiare e si gettavano sulla tolda, lasciandosi consumare d'inedia, o, attratti dall'irresistibile canto e dai volti delle ammaliatrici, si gettavano a capofitto nel mare. Giasone e i suoi compagni, dopo essere fuggiti rapidamente dalla Colchide col Vello d'Oro che avevano conquistato, si erano diretti verso la Grecia. Avevano attraversato il Mar Nero, risalendo il Danubio e, attraverso il Po e il Rodano erano arrivati all'isola di Sardegna ove stavano in agguato le figlie del mare. Esse, appena videro la bella nave costeggiare le rive, le si avvicinarono e cercarono con i canti dolcissimi accompagnati dal suono della lira, di fermarne il rapido viaggio. Ma Orfeo, il musico divino che faceva parte della spedizione, comprese il pericolo che li circondava e, affinché i marinai non udissero le insidiose canzoni, prese a suonare la sua lira. E la melodia di Orfeo era così deliziosa che tutti gli uccelli accorsero intorno alla nave per ascoltarla, i delfini circondarono la carena incantati, e perfino le Sirene cessarono di modulare le loro canzoni maliarde, sedotte dalla musica del divino Orfeo. Così, nel silenzio religioso degli uomini e degli animali, entro le calme acque del Mar di Sardegna, passò incolume la bella nave. Cantò a lungo, instancabile, modulando dolcissimi accordi, finché la nave non ebbe superato i sinistri paraggi della Sardegna. Le Sirene attesero silenziose e tristi che il canto soave si allontanasse, poi indispettite e umiliate di essere state vinte da Orfeo, si gettarono dalle rocce in mare con i loro strumenti. Giove, pietoso, le mutò in alte scogliere dominanti le acque della Sardegna.

Le quattro Streghe. de "Il meraviglioso mondo di Shangri-La"

Una leggenda del Nord America spiega perché nel mondo esistono morte, miseria, fame e freddo.


Gli uomini di quel tempo lontano lo chiamavano Distruttore. Era il figlio del Dio Sole, ed era il più forte e potente tra tutti i guerrieri che fino ad allora avevano solcato la Terra. Prese a cuore le sorti degli uomini: il Distruttore decise un giorno che si sarebbe messo in cerca delle quattro streghe, le temute vecchie che erano all'origine di tutti i mali del mondo, per ucciderle e liberare per sempre tutti gli essere viventi dalle schiavitù della sofferenza. Dopo un lungo vagare, tra terre desolate e sconosciute, il guerriero incontrò finalmente la prima della quattro vecchie. La strega tremava e si torceva al suo cospetto, però non di paura:.Freddo era il suo nome. “Se tu mi uccidi – disse – il caldo regnerà per sempre sul mondo e il grano non potrà più crescere, senz'acqua che lo bagni”. Il Distruttore disse: “Vecchia, hai ragione, io non ti ucciderò”. E voltate le spalle, si allontanò. Continuò a vagare per un tempo lunghissimo, fino a trovarsi un giorno al cospetto della seconda strega. Fame era il suo nome, ed ella così parlò: “Se tu mi uccidi, il cibo verrà a noia alla tua gente e riempirsi la pancia non porterà più ad alcun piacere”. Ed egli disse: “È vero, la gioia di ogni festa sparirebbe con te. Io non ti ucciderò”. Ancora riprese il suo viaggio, che lo condusse fino alla terza strega. Il suo nome era Povertà. “Uccidimi - ella disse – sono così infelice! Però sappi che, morta io, mai più i vestiti potranno consumarsi e la tua gente non avrà più il sapore delle cose nuove.”. E il guerriero disse: “È vero, gli uomini godono degli abiti nuovi. Non ti ucciderò”. E, deposte le armi, si allontanò senza voltarsi. Vagò a lungo, tra terre e montagne mai viste da occhio umano, alla ricerca dell'ultima strega, la più potente e terribile, la più temuta dagli uomini. E fu sorpreso, quando finalmente la vide, di scoprire che era anche la più vecchia e curva. Il suo nome era Morte. Disse: “Se tu mi uccidi, la gente non morirà mai più. Né nuovi bambini nasceranno e il mondo sarà popolato soltanto dai vecchi. Lasciami andare e la gente crescerà. Giovani forti prenderanno il posto dei nonni, che io prenderò per mano. Sono la Morte, amica non compresa della gente”. “Nemmeno te posso uccidere”, concluse il Distruttore. E in quel momento capì che il suo viaggio era terminato. E fu così che Morte, Povertà, Fame e Freddo continuarono a vivere tra di noi. Il figlio del Sole, tornato nella terra degli uomini, spiegò a tutti queste cose. Poi, senza dire nient'altro, ripartì. E nessuno, da allora, lo rivide mai più.

L'avventura per la vita: Eraclea fatiche. de "Il meraviglioso mondo di Shangri-La"


...Il matrimonio fra Giove e Giunone non fu mai tranquillo a causa delle continue scappatelle di lui e della smisurata gelosia di lei. La cosa che più di tutte faceva adirare Giunone era che il marito continuasse ad avere dei figli illegittimi i quali potevano minacciare i diritti e i privilegi riservati solamente alla sua prole. Una volta il re degli Dei ebbe una relazione d'amore con Alcmena, la moglie del soldato Anfitrione, approfittando dell' assenza del marito impegnato in operazioni di guerra. Quando Giunone seppe che la donna aspettava un figlio da Giove giurò che avrebbe reso la vita del bimbo veramente difficile e cercò di ritardare il più possibile la nascita del piccolo. Un mattino Alcmena vide sulla porta della sua casa una strega che lanciava fiamme dagli occhi e urlava minacce. Questa strega, in realtà, era Giunone travestita! L'orrenda visione sconvolse la donna a tal punto che le fece ritardare il parto ed Ercole nacque solo dopo dieci mesi. Era bellissimo e forte, ma la madre, sapendo quanto era terribile l'ira della Dea, non ebbe il coraggio di allevarlo e lo abbandonò in mezzo a un campo. Gli strilli del neonato attirarono proprio l'attenzione di Giunone che, non sapendo chi fosse veramente il piccolo e trovandolo così grazioso, decise di prenderlo con sé e di allattarlo. Però Ercole intuì che la donna gli sarebbe stata ostile e le diede subito un tremendo morso che la fece urlare di dolore. Purtroppo la moglie di Giove conobbe ben presto la vera identità di quel bimbo che aveva raccolto e che ora viveva allevato come un Dio. Decise allora di ucciderlo e mandò nella sua culla due velenosissimi serpenti perché lo divorassero. Ma Ercole era già in grado di dimostrare la sua forza straordinaria: senza la minima paura, afferrò i serpenti con le mani e strinse tanto che di lì a poco i due animali morirono soffocati.Quando fu adulto, il destino volle che Ercole diventasse lo schiavo del crudele re Euristeo il quale, sotto minaccia di morte, gli ordinò di cimenttarsi in dodici terribili prove che mai nessuno fino ad allora era stato in grado di superare. Ercole riuscì a superarle tutte, ma alcune gli costarono veramente uno sforzo sovrumano. Una delle più difficili fu l'uccisione dell'idra di Lerna. L'idra era un enorme drago con sette teste che funestava la palude di Lerna poiché, quando era affamato, usciva dalle profondità del lago e divorava tutto il bestiame delle campagne circostanti. I contadini erano disperati e non avevano più cibo, ma non osavano ribellarsi per paura di essere mangiati. Per di più questo mostro era praticamente invincibile dato che, anche se le tagliavano di netto una delle teste con un colpo di spada, subito gliene ricresceva un'altra più orripilante e sibilante che mai. Per distruggere questo drago Ercole prese delle frecce infuocate e le scagliò con il suo infallibile arco nella caverna dove l'idra si rintanava immobile per ore a digerire le sue numerose prede. Svegliato dalle frecce infuocate, il mostro uscì furente a vedere chi osasse attaccarlo. Quando vide il ragazzo armato di arco gli si avventò contro deciso a divorarlo, ma non aveva fatto i conti con la forza e l'abilità di Ercole. L'eroe infatti gli piantò un piede sopra la coda e riuscì a immobilizzarlo; poi brandendo un'enorme clava le staccò a una a una tutte le teste. Queste però ricrebbero subito ed Ercole allora capì che il seme delle teste dell'idra rimaneva dentro le ferite sanguinanti dei colli mozzati e che quindi le nuove teste rispuntavano come fanno gli arbusti sul­la terra coltivata. Allora accese un gran fuoco, prese un tizzone e lo tenne fermo sulle piaghe delle teste recise. Così riuscì a distruggere una volta per tutte la terribile idra di Lerna. Però prima di seppellirne il corpo intinse nel sangue avvelenato del mostro le sue frecce che divennero così delle armi micidiali. Un'altra delle sue fatiche portò Ercole in Elide. Chiunque si avvicinasse a questa regione su cui regnava il re Augia, rimaneva nauseato da un fetore pestilenziale che ammorbava l'aria e che proveniva dalle sue stalle. Re Augia possedeva moltissimi armenti che teneva rinchiusi in centinaia e centinaia di immense stalle. Avendo paura che glieli rubassero aveva proibito in modo assoluto ai contadini di ripulire le stalle dal letame: così nessuno avrebbe osato avvicinarsi. Erano più di trenta anni che queste stalle non erano pulite. Euristeo ordinò proprio a Ercole di farlo, ma era profondamente convinto che non avrebbe mai portato a termine l'impresa; e ne era sicuro lo stesso Augia che addirittura promise a Ercole, se ci fosse riuscito, un decimo del proprio bestiame. Ed Ercole superò la prova! Scorreva nei paraggi delle stalle il fiume Alfeo, pieno di acque impetuose. Il potente eroe deviò il corso di questo fiume, in modo che la corrente passasse proprio in mezzo alle stalle. Le acque giunsero violentissime e fecero ciò che nessun uomo avrebbe potuto fare: travolsero nel loro impeto montagne di letame e le stalle tornarono pulite. Quando Augia vide quel prodigio ne rimase molto infastidito, dal momento che ora era costretto a cedere parte degli armenti. A causa della sua avarizia non volle rispettare i patti. Allora Ercole, indignato lo uccise. Infine Euristeo, dopo che Ercole era riuscito a compiere tutte le undici prove precedenti, gli chiese addirittura di impadronirsi di uno dei doni che erano stati fatti a Giove e a Giunone per il loro matrimonio. Quando il re e la regina degli Dei si sposarono, infatti, c'era stata una specie di gara fra tutte le gerarchie divine nell' offrire alla coppia i doni più preziosi. La Terra non aveva voluto essere da meno e aveva regalato degli alberi da frutto molto particolari: infatti ogni primavera sui loro rami nascevano delle mele d'oro. Questi alberi erano custoditi in un meraviglioso giardino affidato a quattro ninfe, le Esperidi, le quali avevano posto a guardia del cancello d'entrata un drago con cento teste. Ogni volta che qualcuno si avvicinava al giardino con l'intenzione di rubare i pomi, le teste del drago iniziavano a gridare con cento tonalità diverse e questo concerto orripilante cacciava anche l'uomo più coraggioso. Il giardino delle Esperidi si trovava nel Caucaso, ma Ercole non sapeva esattamente dove. Per sua fortuna si imbatté un giorno in Prometeo che, essendosi ribellato agli Dei, era stato incatenato su una montagna e sottoposto a un terribile supplizio: infatti un' aquila gli divorava il fegato che subito gli ricresceva per essere divorato di nuovo. Mosso da compassione Ercole liberò l'uomo che, per gratitudine, indicò all'eroe il modo per impossessarsi delle preziose mele senza correre pericoli. "La tua forza e il tuo coraggio non bastano.", gli disse Prometeo. "Lo conosco bene chi ti può aiutare. È Atlante, il padre delle Esperidi, che ha così tanta forza da poter reggere sulle sue spalle tutto il peso del cielo.". "E mi aiuterà?", chiese Ercole. "Certamente.", rispose l'altro. "Se lo contraccambierai sollevandolo per un po' dall' enorme peso che deve sostenere ogni giorno. Da tempo vuole sgranchirsi le gambe e camminare libero, senza impicci. Offriti di tenere il cielo per lui e sarà lieto di andare a prendere per te i pomi delle Esperidi.". E così avvenne. Ad Atlante non parve vero di levarsi di dosso quel peso immane e in meno di un' ora sconfisse il drago e ritornò da Ercole con il prezioso carico. Quando però l'eroe fece per riconsegnargli il cielo, Atlante si rifiutò di prenderlo dato che la passeggiata che aveva fatto nel profumato giardino delle ninfe e l'impresa contro il mostro gli avevano fatto apprezzare la libertà e la gloria. Perciò l'idea di tornare immobile a sostenere un carico di quel genere non gli piaceva affatto. Dunque disse bruscamente a Ercole: "Non solo ti ho portato le mele che volevi, ma andrò anche a consegnarle a Euristeo. Rimani tu a sostenere il cielo, è tanto tempo che sopporto io quel peso.". Ercole capì di essere caduto in un tranello e iniziò ad agire d'astuzia. Rispose allora: "Hai perfettamente ragione. Inoltre sono certo che il re, se tengo questo carico, non mi darà più prove rischiose da superare, così starò tranquillo per qualche tempo. Solo...", proseguì. "Dovrei sistemarmi meglio questo peso sulla schiena, altrimenti non resisterò a lungo.Vedi, ho già le spalle un pò scorticate. Riprendi il cielo per un momento, il tempo necessario per prepararmi un cuscino con foglie intrecciate, paglia e teli di seta per sistemare un appoggio morbido su cui posare questo canco. Atlante accettò ingenuamente, posò le mele a terra e si riprese il cielo sulle spalle. Rapido come un fulmine, Ercole afferrò i preziosi pomi, gridando: "Atlante hai voluto ingannarmi, ma non ci sei riuscito. Ora tieniti il tuo fardello!". E fuggì veloce verso Micene dove si trovava la reggia di Euristeo.

L'amore di Eco e l'indifferenza di Narciso... de "Il meraviglioso mondo di Shangri-La"


...Molto tempo fa, vivevano le Ninfe, bellissime fanciulle, vestite di veli impreziositi da fili d'oro e d'argento. Avevano lunghissimi capelli, che pettinavano specchiandosi nei laghetti e nei ruscelli. Amavano ballare e cantare e la loro voce era talmente melodica che incantava chiunque le sentisse. Oltre alle Ninfe, c'erano anche i Satiri, giovani fannulloni, sempre pronti a divertirsi ed uno di loro si chiamava Pan. Pan, era il Dio dei pastori, il suo aspetto era orribile e deforme; al posto dei piedi aveva due zoccoli da caprone, il suo viso era rugoso e le sue orecchie erano appuntite. Inoltre sulla fronte, aveva due corna da capra che lo rendevano pauroso. Pan trascorreva intere giornate a suonare il suo flauto fatto di canne e spesso cantava. Un giorno, egli udì una bellissima voce provenire da un cespuglio; subito si mise a sbirciare e vide una bellissima Ninfa che raccoglieva fiori. Il suo nome era Eco e Pan, fu talmente incantato dalla sua bellezza che le si avvicinò e disse: "Oh, stupenda creatura, tu sarai la mia sposa!". Eco rimase terrorizzata alla vista di quell'essere mostruoso e subito corse via urlando e pregando Pan di lasciarla in pace. Ma Pan non smetteva di inseguirla e la Ninfa cercava di nascondersi nel bosco, finché sfinita trovò una caverna ed entrò per rifugiarsi. Eco era innamorata di Narciso, un bellissimo giovane, che amava la caccia, e, ancora piena di spavento incominciò a chiamarlo sperando che accorresse in suo aiuto. Eco lo chiamò per ore ed ore, ma Narciso non arrivava. La povera Ninfa trascorse così giorni e giorni nascosta nella buia caverna chiamando continuamente il suo amato, ma inutilmente. Narciso, aveva un cuore arido ed era talmente pieno di superbia e fiero di sé che non aveva attenzioni per nessuno tranne di sé stesso. Un giorno, mentre cacciava, udì le invocazioni di Eco e, quando capì dalla voce che si trattava di lei, si avvicinò alla caverna e disse: "Devo continuare la caccia, non posso perdere tempo... poi per una Ninfa...", e proseguì. Gli Dei, che dall'Olimpo avevano visto il comportamento di Narciso, decisero che una simile crudeltà non poteva rimanere impunita. Così decisero che, Narciso, dal cuore di pietra, dovesse provare sentimento soltanto per sé stesso e per la sua bellezza. Trascorsero giorni e intanto faceva molto caldo e, il giovane, stanco e assetato si mise in cerca di uno stagno per dissetarsi. Quando lo trovò si sporse per bere e vide la sua immagine riflessa nell'acqua e, sbalordito esclamò: "Che sublime bellezza, non posso più vivere senza che essa risplenda continuamente nei miei occhi.".Narciso s'innamorò all'istante di sé stesso e da quel momento rimase fermo immobile senza mai staccare il suo volto riflesso nello stagno, come in preda ad un incantesimo. Intanto il sole iniziava a calare e, Narciso cominciava a perdere le forze, non riusciva a muoversi e il suo viso piano piano impallidiva sempre più. Rimase così a lungo finché non morì.

Il Lupo e il Cane. de "Il meraviglioso mondo di Shangri-La"

...Un Lupo magro e sfinito incontra un cane ben pasciuto, con il pelo folto e lucido. Si fermano, si salutano e il Lupo domanda: "Come mai tu sei così grasso? Io sono molto più forte di te, eppure, guardami: sto morendo di fame e non mi reggo sulle zampe". "Anche tu, amico mio, puoi ingrassare, se vieni con il mio padrone. C'è solo da far la guardia di notte perché non entrino in casa i ladri". "Bene, ci sto. Sono stanco di prendere acqua e neve e di affannarmi in cerca di cibo". Mentre camminano, il Lupo si accorge che il cane ha un segno intorno al collo. "Che cos'è questo, amico?", gli domanda. "Sai, di solito mi legano". "E, dimmi: se vuoi puoi andartene?". "Eh, no.", risponde il cane. "Allora, cane, goditi tu i bei pasti. Io preferisco morire di fame piuttosto che rinunciare alla mia libertà".
 
Di Fedro

Argon, guardiano dai cento occhi. de "Il meraviglioso mondo di Shangri-La"


...Viveva una volta, sempre nei favolosi tempi mitologici, una principessa di nome Io. La fama della sua avvenenza era così grande e incontrastata, che, si diceva, neppure le Dee dell'Olimpo potevano essere così belle. Giunone, la sovrana dalla bianche braccia e dalla superba bellezza, fu irritata da questo e, per eliminare quella rivale troppo splendente, la trasformò in una bianca giovenca. La relegò in una solitaria prateria e, perché non fuggisse, le mise accanto come guardiano il mostruoso Argon, il quale aveva nientedimeno che cento occhi. Al sorgere del sole, Argon si destava e ne apriva metà, mentre apriva l'altra metà al calar delle tenebre; così non c'era mai pericolo che dormisse compiutamente, perdendo di vista la povera giovenca. Ma Giove non amava che si facessero sulla Terra, neppure dagli Dei, ingiuste ed inutili crudeltà. Chiamò dunque il furbo Mercurio, messaggero alato del Cielo, e gli disse: "Metti in opera tutto il tuo ingegno, alato Dio veloce, ma libera a qualunque costo la povera Io, che Giunone ha trasformata in giovenca.". "Sarai soddisfatto di me.", rispose il Dio astuto. "Ho già il mio piano". E preso il flauto, il caduceo d'argento donatogli da Apollo e il casco scintillante, Mercurio si lanciò come una freccia attraverso gli spazi, finché giunse nella prateria dove era relegata la povera fanciulla. Era l'imbrunire e Argon, addossato ad un albero si accingeva a chiudere una metà degli occhi per appisolarsi. Mercurio gli si sedette vicino come se volesse tenergli compagnia, e cominciò a suonare il flauto. Modulò dolcemente le note, con lentezza studiata creò inimitabili carezzevoli canzoni, si dilungò in armonie deliziose, trasse insomma dal suo flauto magico le più snervanti melodie che mai fossero state immaginate. Argon ascoltava rapito. Ma che fatica tenere aperti i cinquanta occhi, con quel torpore che gli dava quella musica divina! A poco a poco il capo del mostro si piegò qualche occhio si chiuse a sua insaputa,un letargo invincibile lo prese, finché tutti e cinquanta gli occhi imitarono gli altri e si chiusero in un sonno profondo. Mercurio diede un piccolo grido di gioia. Col sonno di Argon l'incantesimo della giovenca era rotto e nella prateria, al posto della giovenca, c'era una splendida fanciulla! Mercurio fu lesto a prenderla fra le braccia e a riportarla al suo regno con indescrivibile gioia. Ma Giunone, quando seppe del tranello teso da Mercurio al mostro, e della liberazione di Io, credette di scoppiare per il dispetto. Punì il dormiglione guardiano, togliendogli ad uno ad uno tutti e cento gli occhi e con essi arricchì di variegati disegni tondi la coda del pavone, l'animale a lei caro.

La 'Danza dei Sette Veli' e Ishtar. de "Il meraviglioso mondo di Shangri-La"

...Nel Mito del Ciclo Vitale Ishtar indossava sette veli. Corrispondevano ai sette chakra (centri energetici del corpo). Erano di colori differenti ad indicare i sette pianeti, ognuno dei quali possedeva pregi e difetti che influenzavano la personalità di ogni essere vivente. In onore di questa Dea, le Sacerdotesse eseguivano la famosa ‘Danza dei 7 Veli’, dove l’abbandono del velo simboleggiava l’allontanamento degl'aspetti umani negativi e l’esaltazione di quelli positivi. Era una danza sacra, che donava energia positiva e l’armonia tra il corpo e la mente. Le Sacerdotesse si accingevano così alla preghiera. "COLORE DEI VELI E RISPETTIVI PIANETI": ROSSO-Marte: pianeta delle passioni e dell’aggressività; lasciando questo velo emergeva l’amore e la fiducia; ARANCIONE-Giove: pianeta della tendenza a dominare e comandare; liberandosene affioravano l’altruismo e la protezione; GIALLO-Sole: pianeta dell’orgoglio e della vanità; eliminandolo si manifestava la fiducia e l’allegria; VERDE-Mercurio: pianeta dell’indecisione e della divisione; lasciando questo velo riemerge l’equilibrio tra gl’estremi opposti; CELESTE-Venere: pianeta della difficoltà di esprimersi; dominandolo si acquista la capacità di relazionarsi con gl’altri; LILLA-Saturno: pianeta dell’eccesso di rigore e serietà; liberandosene aumenta la consapevolezza del Sé e la sensibilità; BIANCO/ARGENTO-Luna: pianeta dell’immaginazione in eccesso; eliminandolo emerge la creatività e la purezza.

L'origine della Morte. de "Il meraviglioso mondo di Shangri-La"

Una leggenda del popolo Malinke del Mali ci racconta perché il destino di ogni uomo sia quello di morire.


...Una volta la morte non c'era e nessuno se ne stupiva. Non ce n'era proprio bisogno e quando la gente era diventata troppo vecchia e stufa di vivere, saliva in cielo senza morire. Ma come facevano?, direte voi curiosi mortali. È molto semplice: quando la morte non c'era, gli uomini si arrampicavano in alto, oltre le nuvole, afferrandosi a una corda di ferro che penzolava dal cielo. Non so chi l'avesse messa lì, ma dicono che ci fosse da sempre. In quei tempi, le notti erano buie come il carbone perché la luna non esisteva: ma non era un problema perché nessuno aveva paura del buio. Questa è arrivata dopo che la morte è comparsa tra gli uomini. In quei tempi viveva Toure, un fabbro assai bravo nel proprio mestiere. Ma il fabbro aveva un problema: non aveva nemmeno un figlio maschio, ma solo tre figlie femmine che gli volevano un mucchio di bene. Dov'è il problema?, direte voi. Il problema di Toure era che doveva lavorare da solo, perché il lavoro del fabbro non è una cosa da donne. L'uomo attendeva, pieno di speranza la nascita di figli maschi che lo avrebbero aiutato: ma questi non arrivavano mai. Le cose andavano avanti così da molto tempo e Toure era sempre più infelice e ingobbito dalla fatica. Un brutto giorno, molto brutto per noi, il fabbro divenne rovente dalla rabbia perché un pezzo di ferro incandescente gli era piombato sul piede. Era la goccia che fece traboccare il vaso. Toure lanciò un urlo e disse: “Basta! Me ne vado! Trovatevene un altro! Io ho finito per sempre!!”. Così detto balzò sulla corda e in un battibaleno scomparve dalla vista degli uomini della sua tribù. Allora le figlie gli corse dietro: “Babbo, Babbo! Non lasciarci sole! Vogliamo stare sempre con te!”. E Toure rispose da oltre le nuvole: “D'accordo, salite pure. Ma portatevi dietro la corda con voi, perché non voglio altri rompiscatole in questo posto tranquillo, senza più contadini che vogliono le zappe e senza più cacciatori che chiedono lance e frecce!”. Le tre figlie si arrampicarono con la velocità delle scimmie e, giunte sulla cima delle nuvole, si tirarono dietro la fune. Insieme con questa scomparve l'unico legame tra la terra e il cielo che permetteva agli uomini di lasciare questo mondo senza morire. Da allora, gli uomini troppo vecchi e stanchi della vita, per lasciarci e andare in cielo, devono attendere la morte. Da allora, gli uomini vedono la luna che sale rossa in cielo: è il ferro che il fabbro sta lavorando. E quando l'ha arroventata ben bene, la luna diventa bianca e incandescente e aiuta gli uomini a vincere la paura della notte... Ma avete visto quelle tre piccole stelline brillanti, che danzano intorno alla luna gialla? Sono le tre figlie che non hanno mai voluto abbandonare il proprio padre, e che si avvicinano cantando dopo che Toure ha terminato di fondere la luna.

“Uomini africani” di Mauro Burzio Editrice Velar Gorle, 2001