martedì 21 settembre 2010

I Re Magi. de "Il meraviglioso mondo di Shangri-La"


...Ogni anno, in prossimità dell’Epifania, ci si domanda chi sono i Magi, come si chiamavano e, soprattutto, da dove attingiamo le notizie che li riguardavano. E' logico pensare che provengano dai Vangeli. Ma è sbagliato: tra i Vangeli sinottici solo quello di Matteo al cap. 2 (versetti 1-2), all’inizio afferma, molto incidentalmente: "Che nella grotta della natività giunsero, tra gli altri, anche i “Magi” che provenivano genericamente “da Oriente”.". Il testo di Matteo afferma testualmente “Gesù nacque a Betlemme di Giudea al tempo del re Erode. Alcuni Magi giunsero da oriente a Gerusalemme e domandarono …”. Il Vangelo secondo Matteo non fornisce altre notizie. In pratica non si sa né come si chiamavano, né quanti erano; l’unica cosa che Matteo lascia intendere che erano più di uno (alcuni Magi). Gli evangelisti Luca e Marco, non fanno parola dell’episodio e Giovanni, non si occupa dell’infanzia di Gesù. Nei vangeli sinottici quindi si accenna a questa comparsa senza entrare ulteriormente nel merito. Probabilmente nei testi canonici fu operava una sorta di autocensura dal momento che sarebbe stata inammissibile l’adorazione del Cristo da parte di “Μαγοι Μαγοι Μαγοι Μαγοι”, specie di stregoni come il famigerato Simon Mago (sconfitto da Pietro come si narra negli Atti degli Apostoli). Sotto il profilo storico, la vicenda ha inizio molto lontano, nelle terre di Persia, e narra di una casta sacerdotale, di stelle che annunciavano una miracolosa nascita e di tre persone (sovrani?) che si misero in cammino per venerarlo. * I Re magi nei testi apocrifi. Se questa è la base di partenza è logico rivolgere l'attenzione ai Vangeli apocrifi, in genere più ricchi di notizie sulla nascita e sulla fanciullezza di Gesù e, comunque, di aspetti generalmente ignorati della vita privata di Gesù. Ma la ricerca non è gratificante. In ogni caso il risultato è sempre lo stesso: su quattordi serie di testi, sette non trattano assolutamente l’argomento (Vangeli Gnostici; apocrifo Armeno; manoscritto di Chartres; Vangelo apocrifo di Tomaso; Manoscritto arabo C11 della Biblioteca Ambrosiana, Versione arabo-latina della storia di Giuseppe Falegname; Versione copta della Storia di Giuseppe Falegname). Tra i restanti sette gruppi di testi c'è da fare un distinguo: in cinque serie di testi ci sono solo notizie discordanti o incomplete e cioè: Il papiro Bodmer (relativo alla nascita di Maria) ne accenna al cap. 41 (versetti 8-15) con queste parole “Ed ecco che Giuseppe si preparò per andare nella Giudea. – E una grande confusione ebbe luogo – in Betlemme di Giudea. Erano, infatti giunti dei magi domandando: …”, ed ancora in cap. 42 (versetti 8 – 9) “I Magi vedendo che stava – con sua madre Maria, - estrassero doni dalle loro bisacce – oro, incenso e mirra …”, e sono semplicemente nominati in 42.16 – 17; da tale testo si comprende solo che dovevano essere in numero di tre. Il Protovangelo di Giacomo, cap. 21.1 afferma: “Poi Giuseppe si preparò a partire per la Giudea. In Betlemme della Giudea ci fu un grande trambusto, perché erano venuti dei Magi che dicevano ….”, abbiamo visto una stella nell’oriente e siamo venuti ad adorarlo”. Codici di Hereford (H) ed il Codice Arundel (A): Questi testi, sovrapponibili in larghissima parte, citano l’episodio ai capp. 86 – 90 – 92 fornendo l’unica indicazione dei doni e, quindi, solo indirettamente del numero. Nel Vangelo arabo dell’infanzia, si trova una notizia interessante e storicamente corretta, che si occupa dell’episodio ai capp. 7.1 ed 8.1; [7.1] “Dei magi vennero a Gerusalemme, come aveva predetto Zaradusht (***), portando seco doni: oro, incenso e mirra” mentre il successivo cap. 8.1 non aggiunge alcun elemento circa la provenienza, il nome ed il numero. Il Vangelo dello Pseudo Matteo si occupa dell’episodio al cap. 16.1, collocandolo diversamente nel tempo. “Trascorso il secondo anno dei Magi vennero dall’oriente a Gerusalemme portando grandi doni”. Infine i due gruppi di testi più interessanti e cioè “il libro della Caverna dei Tesori” (apocrifo arabo-siriano) cui si aggiunge un testo tardo la “Historia Trium Regum” di GIOVANNI DA HILDESHEIM, nella quale è raccolta, in un’unica narrazione, testi e frammenti – di provenienza sconosciuta – di apocrifi sui Magi. Ebbene il “Libro della Caverna dei tesori”, dice i Magi furono “re figli di re”. Nell’Apocrifo “Vangelo dell’Infanzia Armeno” è specificato un rapporto di parentela “(… questi magi erano tre fratelli..)” e vi sono forniti anche i nomi. L’uno e l’altro testo, sostanzialmente confermano il Papiro Bodmer [cap. 42] che, senza rivelarcene il numero, conteneva precisi riferimenti al numero dei doni. * Numero ed il Nome dei Magi. Il numero dei Magi (il numero “3”) va accettato con beneficio di inventario. Tra gli studiosi di essoterismo, il numero tre ha una valenza simbolica perchè indica l’intera umanità o, se si preferisce, le tre razze umane derivate dai figli di Noè: la semitica, la Camitica e la japetica, rispettivamente da Sem, Cam e Jafef. Ma c'è un’altra possibile spiegazione. Nell’antico Egitto il tre, Khem, era collegato ai moti lunari ed indicava “la manifestazione nel mondo del reale dell’Uno trascendente”, cioè la divinità trascendente che diventa immanente; concetto che si collega all’epifania del Cristo, il Dio fatto uomo. Né minore importanza riveste il problema del nome. È noto che presso i “popoli del libro” (ebrei ed arabi), il “nome”, o meglio la conoscenza del nome rivestiva grande valenza magica, come presa di possesso. Lo dimostra l’episodio biblico nel quale gli Elohim invitano Adamo a dare il nome a tutti gli esseri viventi (con questo significando la presa di possesso dell’uomo sugli altri esseri). Ancor meglio lo dimostra l’altro episodio, quello in cui Mosè s’imbatte nel roveto ardente. Quando Mosè chiede “chi sei?” in effetti non vuole la rivelazione della natura trinitaria compresa nella risposta “Io sono colui che è”, ma è un vero e proprio tentativo di impadronirsi del “nome” dell’essere nascosto nel fuoco. Ma torniamo ai Magi. Nel mondo attuale sono conosciuti con i nomi di GASPARE, MELCHIORRE e BALDASSARRE, anche se bisogna dire che non tutti sono d’accordo. I milanesi li hanno venerati con i nomi di RUSTICO, ELEUTERIO e DIONIGIO. Quali prove abbiamo? In un complesso monastico copto, in Egitto, le immagini dei Magi sono accoppiate ai nomi di Gaspar, Melechior e Bathesal. Melechior era il più anziano dei tre: il suo nome deriverebbe dall’aramaico Melech (signore, re). Il nome Baldassarre deriverebbe dal mitico re babilonese Balthazar, il che ripete genericamente, nel nome, la regione di approssimativa provenienza. Infine Gaspar, Gasparre, che i greci chiamavano Γαλγαλαθ Γαλγαλαθ Γαλγαλαθ Γαλγαλαθ, corrisponderebbe al signore di Saba. Anche Marco Polo accenna ai Re magi nel “Milione”ed, a ragione, la riconduce alla Persia. L’esploratore veneziano connette il Paese dei Magi a quello dei Sabei quando afferma che “… in Persia è la città chiamata Saba da la quale partirono tre re che andarono ad adorare Dio quando nacque ...". Un attento esame del testo ha portato gli studiosi alla conclusione che la citazione di Marco Polo non è corretta. Il viaggiatore non si riferiva proprio a “Saba” (che sarebbe stata individuata in una località dell’Etiopia), bensì a “Sawah” in Persia. Altri studiosi invece individuano la città di partenza del pellegrinaggio in “Ubar”. *Quanto durò il viaggio? Il viaggio dei Re Magi per Betlemme sarebbe durato 13 giorni. Ma neppure su questo punto c’è concomitanza di vedute. Si è detto che 13 giorni non sarebbero stati sufficienti a coprire la distanza tra l’Iran e la Palestina a dorso di cammello. C’è da dire che il numero 13, come tanti altri elementi di questa storia, ha un significato esoterico. 13 è numero sacro alla divinità lunare ed in questo significato è stato trasferito nella leggenda. Vero è che il numero 13, elemento di sacralità, è stato successivamente demonizzato sulla base di considerazioni estranee e contrarie a quelle che ne avevano determinato l’antica sacralità. Tredici divenne il numero delle compagnie nelle quali c’era un agnello sacrificale ed un traditore: con Giuda la compagnia degli apostoli contava 13 componenti e tale circostanza era comparsa e ricomparirà nei miti popolari. La credenza era viva ancora alla fine del I millennio d.C. Quando si formò la leggenda di Camelot, tra i 13 erano i cavalieri della tavola Rotonda, Re Artù ricopre la parte dell’agnello mentre Mordred quella del traditore. Ma c’è di più perché la tradizione anglosassone ritiene iettatorio il numero tredici e ancor oggi, negli Stati Uniti, la numerazione dei “floors” degli edifici salta il tredicesimo piano. *I Re magi ed il simbolismo. Scrittura steganografica del mito. In un tale complesso esoterico, il simbolismo assume una parte assolutamente di primaria importanza. In altre parole, intorno alla vicenda ruota un complesso di simboli che non sono limitati all’aspetto numerico particolarmente caro all’esoterismo orientale (come la Cabala e, in generale, all’esoterismo ebraico), anche se i passi neo-testamentari non vanno considerati come esempio di scrittura storica. Va ricordato però che la storia è sullo sfondo, la scrittura sacra ha lo scopo di esaltare la sacralità della figura del Cristo attraverso il ricordo delle sue opere – sia che la scrittura appartengano alla sinossi, che in parte anche agli apocrifi. Sulla base di questa scuola di pensiero vi è chi nega l’episodio dei “Re Magi”, ed a quella connessa alla “Strage degli innocenti” qualunque valenza storica essendo l’una come l’altra, sfornita di qualsiasi evidenza o prova storica. A parte la possibilità di considerare i due episodi elementi poetici del testo, molto più verosimilmente si può sostenere che, in maniera conscia o non, l’estensore o gli estensori siano stati condizionati dalla possibilità di creare una storicità “a priori”, configurando romani ed ebrei come i cattivi di turno che erano desinati a fare da contraltare di buoni a tutti i costi (i pastori ed i Magi). Nella vicenda della Natività esiste un altro elemento di scrittura steganografica di dubbia collocazione quando collegata al culto sacro. Questo elemento è la “grotta” (e, in alternativa alla “stalla”) – in cui sarebbe nato o sarebbe stato deposto Gesù. La grotta è indissolubilmente legata all’utero (della Dea Lunare) come anche ai culti ctonii. Basta pensare al culto di Proserpina che rinasce a Primavera uscendo da Ade per dare vita alla Primavera e numerose divinità – o semidivinità – nascono nella Grotta: Minosse, Dioniso, Mitra. Il famoso "pannello di Benevento" non ha bisogno di spiegazioni. Raffigura i magi a cavallo verso la Terra dove nascerà il Re di Israele.Lo sguardo dei sapienti è rivolto alla stella che, in alto a destra, indica la strada per giungere al Re dei Re. Quanto al numero dei Magi l'artista sembra essersi ispiratò alla tradizione dei Vangeli apocrifi, quelli che riportano anche i nomi dei magi. L'immagine della stella che guida i magi è presente nella Bibbia. Infatti nel libro dei Numeri c'è questo vaticinio che preconizza la vera Stella che nascerà da Giacobbe, quindi dal popolo di Israele: "Io lo vedo, ma non ora, io lo contemplo, ma non da vicino: Una stella spunta da Giacobbe e uno scettro sorge da Israele..." (Numeri, 24, 17). Gesù è la stella del mattino. Non a caso, la sua entrata in Gerusalemme, la domenica delle Palme, avverrà da Betfage, sul monte degli Ulivi, il colle dal quale, ogni mattina, si leva il sole su Gerusalemme. D’altra parte la mangiatoia dell’iconografia cristiana null’altro era se non un elemento del ricovero per animali. *La stella alle origini del mito. L'elemento della stella accomuna le varie redazioni del mito. I saggi – magi o maghi – invariabilmente si domandano e domandano “..dove è nato il re dei Giudei? Perché abbiamo visto la sua stella in Oriente e siamo venuti ad adorarlo..". È inutile stare qui a ripetere ragionamenti ben noti sulla valenza magico-esoterica della “Stella”: basta considerare che gli astri, penetrando con la loro luce nell’oscurità, diventano espressione dell’eterna lotta tra luce ed ombra, tra bene e male: gli antichi erano più sensibili agli aspetti simbolici che si ispiravano ai fenomeni celesti. Tra questi l’apparizione di una cometa era percepito come “prodigium” che letteralmente annunciava e rivelava la volontà divina (ne sapevano qualcosa i divinatori etruschi). E per Matteo la comparsa della “Stella” è in diretta relazione con la nascita di Cristo. Tutte le grandi divinità dell’antichità sono, in qualche modo, legate agli astri (come lo zodiaco che già all’epoca era plurimillenario). Gli astri in qualche modo governano il destino degli uomini e non a caso il faraone egiziano era chiamato “stella d’Egitto” (Tut-Ankh-Amon, era la “Stella del Cielo Meridionale” oggi nota come “Croce del Sud”). Gli studiosi, nel tentativo di dare una base storica alla vicenda, si sono arrovellati non tanto sul significato quanto sulla realtà fenomenica della stella che guidò i Magi alla fatidica “Grotta”. In realtà è un pò difficile ritenere circostanza meramente simbolica un evento di tale portata: in fondo per essa tre personaggi che – re o non re – rivestivano una indubbia importanza sul piano sociale si erano mossi per percorrere metà del mondo conosciuto! Si ritiene che la stella sia un fatto reale che, da solo, sostituisce la chiave di lettura dell’intera vicenda proprio per la sua realità: è, in altre parole quell’elemento oggettivo intorno al quale si crea il mito. E che condurrà a risultati sorprendenti. State formulate varie ipotesi per spiegare in termini reali un fenomeno astronomico oggi misurabile nello spazio e nel tempo. Generalmente si propende per il passaggio di una cometa. Ma quale cometa? Si parla della cometa di Halley, della quale gli astronomi conoscono perfettamente il periodo, l’orbita ed i tempi di passaggio in vista della Terra. E qui cominciano i problemi per la Halley; ha un periodo costante e si ripresenta puntualmente ogni 76 anni. A questo punto è facile calcolare che è transitata negli orizzonti terrestri intorno al 12 a.C. Ma questa data non coincide con quella nella quale Dionigi il Piccolo fissa come limite massimo per la natività. * Ipotesi della Nova o della Supernova:E-A e l’uomo-Pesce. Per alcuni si sarebbe trattato di una “Nova” o “Supernova”, fenomeno di straordinaria luminosità, visibile per un periodo abbastanza lungo per illuminare il cammino dei tre Magi dalla Persia a Betlemme. Un simile episodio non costituirebbe una novità. Come ci spiega il MICHANOWSKI – assirologo ed astronomo – l’esplosione di un’altra Supernova (“Vela X” avvenuta intorno al 4000 a.c. e cioè in piena protostoria) avrebbe dato origine al mito di E-A, suprema divinità sumerica (e poi assira). Vale la pena di soffermarsi sul mito ei E-A, perché pur non essendo accettabile come spiegazione della venuta dei Magi, presenta notevoli agganci con esso. E-A era signore di Ab-zu [Sumeria] e, oggettivamene spiegava il continuum di oceano e volta celeste posto a sud delle Mesopotamia, in pieno Golfo Persico. Uno dei suoi epiteti era Ha-Han che significava “uomo pesce”; si scriveva anche Han-Ha (pesce del cielo). E-A, in altri termini, era una divinità marina, individuata anche col nome di Mul-Nun-Ki (Vela X), signore delle costellazioni meridionali insediatosi nell’Oceano dopo che uccise Apsu. Qui la moglie di E-A generò Marduk. Si ritiene che la cometa abbia attraversato l’orbita di Marte (Marduk) che avrebbe impattato deviandolo dalla propria orbita con tale violenza da staccarne un frammento (Apsu). Il fenomeno sarebbe stato visibile ad occhio nudo nell’emisfero australe (golfo persico) nel corso del VI millennio a.C. Non è possibile, ovviamente, assumere Vela X o la vicenda astrale di Marduk – Apsu come stella dei Magi data la notevole differenza nella datazione. Tuttavia esiste un nesso ideale tra il mito di E-A e quello dei Magi che fa pensare ad una diversa soluzione che, in ogni caso costringe ad una riflessione. Forse non è un caso che i primi cristiani si riconoscessero con un segno in codice per cui uno tracciava nella polvere un semicerchio che l’altro completava incrociandolo con altro semicerchio e dando così vita al segno di un Pesce il cui nome greco (ιχθυσ ιχθυσ ιχθυσ ιχθυσ), era l’acronimo di Gesù Cristo figlio di Dio, Salvatore (ιησυσ χριστοσ τεου υιοσ σωτηρ ιησυσ χριστοσ τεου υιοσ σωτηρ ιησυσ χριστοσ τεου υιοσ σωτηρ ιησυσ χριστοσ τεου υιοσ σωτηρ). E non è neppure un caso che l’attributo di Nazareni (abitanti di Nazareth, ma anche seguaci di Gesù) era parola che significava “piccoli pesci”. Peraltro, all’ingresso in Gerusalemme Cristo fu accolto nel grido di “oannes” divenuto poi Osanna forse per errore di trascrizione. Gli Oannes, guarda caso, erano gli Dei delle popolazioni medio-orientali che erano rappresentati metà uomini e metà pesci! (come E-A ). *Ipotesi della congiunzione astrale. Una delle ipotesi che riscuotono maggior credito è quella di una straordinaria congiunzione planetaria. Più precisamente si fa riferimento alle congiunzioni Giove – Saturno rilevate nel segno dei Pesci tra Giove e Saturno tra il 29 maggio ed il 4 dicembre del 7 a.C. *Dove era situata la grotta delle natività? Sembra che in questa storia non esista sicurezza alcuna. Dove era situata la grotta della Natività? Tra i sinottici gli evangelisti Luca e Matteo la collocano a Betlemme; Marco e Giovanni a Nazareth. In realtà Bethlaem, la città della nascita del Cristo risponderebbe a Bethelem Haglilit villaggio a pochi chilometri da Nazaret. Sarebbero in tal modo appianate le divergenze tra gli evangelisti. Senonché san Girolamo ci ricorda che a Bethelem si adorava, da tempi immemorabili, Adone-Tammuz, divinità arborea legata alla grotta ed al ciclo di morte e resurrezione che richiama la vicenda terrena di Gesù. D’altra parte la vicenda del Cristo, tutta avvolta nel simbolo e nel mistero, non può essere scissa dai culti solari ed arborei che dalla fin protostoria popolavano il mondo degli uomini. Basta pensare alla data del 25 dicembre come giorno della nascita di Gesù. Questa fu una data di comodo o, se si preferisce, di compromesso, scelta per la natività messianica. Il 25 dicembre aveva il pregio di ricordare le origini solari del mito senza confondersi con esse; essere, in altra parole, abbastanza vicina al 21 (giorno del Solstizio d’inverno) senza confondersi con il “dies natalis solis” (ad esempio di Mithra). In tal modo lievitava che “un Dio nato da una Vergine nel solstizio d’inverno e resuscitato all’equinozio di primavera” divenisse l’equivalente della divinità solare.. *Chi erano nella realtà i Magi? In questo gigantesco complesso di simboli e di misteri senza fine, resta da valutare l’unico elemento storico oggettivamente valutabile: quello che riguarda la realtà oggettiva di Magi. Erano realmente i magi, espressione di una classe dell’antica Persia. Per il resto: non è sicuro che quelli della natività fossero Re, né dove conclusero la loro esistenza dopo il ritorno in Persia. I personaggi del Vangelo di Matteo e degli apocrifi non erano Re bensì saggi che certamente godevano di una posizione di privilegio notevole. La stima di cui godevano era la sola causa dell’attributo regio. In altre parole una classe o ceto sociale tipicamente iranico; probabilmente erano sciamani legati al culto degli astri e forse sacerdoti del Dio iranico Ahura Mazda. In qualità di sapienti – come voleva la scienza dell’epoca – erano anche Astronomi – Astrologi. E questa sapienza era famosa nell’antichità tanto che i greci li conobbero come µακοι µακοι µακοι µακοι o µαγοι ( µαγοι ( µαγοι ( µαγοι (o, ancora, Μαγουσαιοι Μαγουσαιοι Μαγουσαιοι Μαγουσαιοι); ma la loro fama andò ben oltre al punto che gli arabi, nel VII secolo, li chiamarono Magiu o Hashishin, Yâtucân in India. Per il resto pare che non fossero seppelliti, neppure in Persia ma, in un’unica tomba, a Costantinopoli. È a questo punto che si innesta la vicenda milanese della Storia dei Magi. A Costantinopoli Eustorgio, futuro vescovo di Milano, ne ricevette i resti mortali, dall’imperatore Costantino (325 d.C.) proprio in occasione delle sua investitura episcopale. Le spoglie dei Magi furono custodite i quello che ufficialmente fu chiamato “Sepulchrum Trium Magorum” in S. Eustorgio, dal 325 al 1164. Narra le leggenda che i portatori del Sarcofago, quando giunsero a Milano, soggiacquero alla fatica e non riuscirono a portare il pesante fardello oltre Porta Ticinese ed Eustorgio autorizzò la sepoltura in loco. Perché fanno la loro comparsa sulla scena evangelica permeata di un diverso tipo di cultura (ebraica)? Probabilmente per due motivi. In primo luogo la cultura ebraica era a sua volta pregna di misticismo esoterizzante e pronta a recepire un messaggio che, nella sostanza, aveva identiche caratteristiche pur provenendo da altrove. Infatti anche nel fronte ideale iranico, esistevano tendenze e motivazioni molto forti per l’attesa dell’avvento di un Sausyant, il Salvatore Universale vaticinato dalle stelle. Il Sausyant era l’inviato del Dio Mithra, ed era condiviso sia dal Mitraismo che dal Mazdeismo per identificarsi con il Buddha del futuro, il Bodisattva Maitreya delle cultura Indiana. A queste idee le legioni romane (tra il III ed il II sec. a.C.) avevano fatto da cassa di risonanza diffondendole nell’intero Impero tant’è che esistevano culti mithraici ed iranici fino alla Caledonia al punto che Bussagli individua, nel segno del Bodhisattva, la genesi del Graal. Ma nel IV sec. a.C. l’idea del Salvatore si era propagata ben oltre tali confini: il Maitreya era divenuto Miroku in Giappone mentre ad occidente si era confuso con l’Οξυαρτεσ Οξυαρτεσ Οξυαρτεσ Οξυαρτεσ di DIODORO SICULO e di CTESIA ed Uxyat-Ereta in Iran. L’idea di un salvatore divino entrò così anche nel mondo islamico sicché gli zoroastriani sono nominati, nella Sura 22, versetto 17 del Corano tra i seguaci delle Scritture, cioè tra le “Genti del Libro”. La parte più antica dell’Avesta entrava così a far parte della Rivelazione insieme al Pentateuco ed al Corano, agli apocrifi degli Atti degli Apostoli (in particolare la Caverna dei Tesori, ed il vangelo Arabo dell’Infanzia di Gesù) come affermò lo storico arabo al-Tahari (848-923). La complessità di queste vicende, unita alle inevitabili contraddizioni cui va incontro chi tenta una ricostruzione storica, ha indotto alcuni ricercatori a percorrere una nuovo strada. È il caso di Giuseppe Badalucco, che parte dalla considerazione che i Vangeli canonici furono composti, tra il 50 ed il 100 d.C., da “autorevoli Membri della prima comunità cristiana, nell’intento di porre in luce un insieme di verità storiche e teologiche sulla figura di Gesù Cristo, accompagnando alla cronaca della vita del Messia i primi elementi della dottrina cristiana che furono successivamente oggetto di sviluppo nel momento della nascita della teologia cristiana”. Lo sviluppo di questa teoria, si svolge sul filo dell’analisi dei testi di Matteo (1, 18-25; 2, 1-12; 13-15; 16-18 e 19-23) e Luca (1,1-4; 26-38; 39-45; 2, 1-7; 8-20; 21-24;28-38; 39-40). Dopo le analisi condotte si arriva alla conclusione che i Magi “sono figure simboliche rappresentative del mondo Pagano (gentili) che si avvicina e che sarà convertito alla fede in Cristo, unico Salvatore”. *Gli sviluppi della vicenda italiana. L’Italia non è rimasta estranea all’avventurosa vicenda dei Magi attraverso il suo primo Vescovo, Sant’Eustorgio. La sua basilica Chiesa milanese nell’alto Medioevo fu meta incessante di pellegrinaggi di coloro che volevano venerare le leggendarie reliquie. Nel 1162 Federico Barbarossa, vittorioso sui Milanesi, decise di traslare a Colonia le presunte reliquie. Vari personaggi storici ne chiesero la restituzione, senza ottenerla: Ludovico i Moro (nel 1494) con l’aiuto autorevole del Papa Alessandro VI. Ci provarono in successione inutilmente Filippo II di Spagna, Pio IV, Gregorio XIII e Federico Borromeo. Solo il Cardinale Ferrari, nel 1903, riuscì ad ottenere qualche ossicino che tutt’ora custodito sopra l’Altare dei Magi in Sant’Eustorgio. Purtroppo le reliquie sono scomparse anche dal duomo di Colonia distrutto durante un bombardamento della la II guerra Mondiale.

Nessun commento:

Posta un commento