venerdì 13 agosto 2010

IL GIORNO E LA NOTTE. Cosmogonia Nordica. de "Il meraviglioso mondo di Shangri-La"


Viveva in Jotunheimr un gigante chiamato Norfi. Aveva una figlia il cui nome era Nòtt «notte», scura e bruna come tutti i membri della sua stirpe. Fu data in sposa a un uomo che si chiamava Naglfari:: loro figlio ebbe nome Audr. In seguito fu maritata con colui che si chiamava Annarr e loro figlia fu Jord «terra». Infine l'ebbe in moglie Dellingr e loro figlio fu Dagr «giorno». Questi era luminoso e splendente come suo padre. Allora Odinn prese Nòtt e Dagr, diede loro due destrieri e due carri e li pose nel cielo perché corressero ogni giorno attorno alla terra. Per prima cavalca Nòtt con il cavallo di nome Hrìmfaxi «criniera di brina»: la schiuma dal morso ogni mattina fa gocciolare sulla terra, donde la rugiada piove sulle valli. Il cavallo di Dagr ha nome Skinfaxi «criniera lucente»: e cielo e terra sono illuminati dallo splendore della sua criniera.
UNA COSMOGONIA ESIODEA NELLE TERRE BOREALI. Il mito della Notte e del Giorno, Nòtt e Darg, riportato da Snorri in Gylfaginning [10], sembra essere una cosmogonia ben distinta da quella in cui figurano Ymir e i figli di Borr. Questa storia è un masso erratico che giunge da qualche lontanissimo passato per finire infine fissato per sempre nell'opera di Snorri. È evidente che Snorri si ispirò a fonti oggi scomparse, perché, se i personaggi di Norfi, Nòtt e Dagr sono citati anche nell'Edda poetica, personaggi come Audr, Annarr e Naglfari compaiono unicamente nell'Edda in prosa. In questo mito, Nòtt è data in sposa successivamente a tre enigmatici personaggi: Da Naglfari ha il figlio Audr. Da Annarr la figlia Jord. Da Dellingr il figlio Dagr. Chi sono questi personaggi? Nòtt e Dagr sono ovviamente la «notte» e il «giorno». Che la prima sia detta madre del secondo è indicativo di un pensiero filosofico che vede le tenebre come primitive rispetto alla luce. Si tratta di un motivo noto a molte cosmogonie, presente tra l'altro nella stessa Bibbia. Jord è invece la «terra» (cfr. anglosassone eorde/eorþe, inglese earth, tedesco Erde), che in seguito ricomparirà quale madre del dio del tuono Pòrr. Si noti che nel mito di Ymir, la terra viene creata dalla carcassa del macroantropo sacrificato, mentre in questa tradizione la Terra è figlia della Notte. Riguardo agli altri personaggi, l'etimologia ci aiuta poco o nulla a decifrarne il carattere o la natura. Si tratta in ogni caso di una cosmogonia simile, nel tono e negli intenti, a quella fornita da Esiodo nel mito greco. Alcuni degli attori in gioco sono gli stessi. Nòtt è chiaramente da mettere in correlazione all'antica dea greca Nýx, la «notte dalle nere ali». La filiazione della Terra dalla Notte si trova in diverse tradizioni elleniche. Nei miti orfici, ad esempio, l'unione tra Nýx e suo padre Érōs, aveva prodotto la dea-terra Gê e il dio-cielo Ouranós. Ma se è possibile stabilire delle connessioni analogiche tra la cosmogonia norrena e quella greca, più complesso e delicato è cercare di provare una relazione precisa tra l'una e l'altra tradizione. Nondimeno, alcuni autori ci hanno provato. L'inglese Brian Branston, in un suo vecchio studio, ha cercato di forzare l'etimologia di molti dei nomi norreni al fine di stabilire precisi paralleli tra le due cosmogonie (Branston 1955). Ad esempio, ha avvicinato Audr (il cui nome in norreno vuol dire innanzitutto «ricchezza» ma, come aggettivo, «deserto, vuoto, desolato») al concetto di caos primigenio, alla terra «informe e vuota» dei primissimi versetti della Genesi, e lo ha interpretato quindi come «spazio», con un preteso rimando al greco aithḗr «etere». In quanto a Naglfari, personaggio dall'etimologia poco chiara (il suo nome sembra composto da nagl «unghia» e fari «viaggiatore»), viene collegato da Branston a un'idea di tenebra e oscurità, e tradotto col discutibile «oscurante». Quasi automatica, su questa base, la correlazione tra Naglfari e il greco Érebos. Annarr «secondo» è probabilmente da identificare con Odinn. In Gylfaginning [9], parlando di Odinn, Snorri dice infatti che «Jord fu sua figlia e sua sposa». In tal caso, però, Branston ritiene che la figura di Odinn/Annarr si sia sovrapposta a una figura ancora più antica quale originario sposo di Nòtt. Il terzo marito di Nòtt, Dellingr, deriva il suo nome da un deglingr «aurora, alba», e Snorri afferma appartenga alla stirpe degli AEsir. Branston ne interpreta abbastanza giustamente il nome come «luminoso» e lo riconduce – qui forzando nuovamente le etimologie – all'antico dio-cielo indoeuropeo *DĒYW- < *DYĒW-. Si tratterebbe, secondo il nostro autore, di un epiteto che avrebbe preso vita indipendente, più che di un personaggio a sé stante. È allora possibile, su questa base, che Naglfari esprima un concetto antitetico, tale che si possa in tal caso ricondurlo al cielo notturno. La pretesa opposizione tra Dellingr e Nalgfari, seguendo questa linea di pensiero, viene assimilata da Branston a quella che a Roma sussisteva tra Iuppiter e Veiovis, il cielo nel suo aspetto diurno e luminoso quanto in quello magico e notturno. La conclusione di Branston è che i tre sposi di Nòtt siano in realtà tre aspetti di uno stesso personaggio (il cielo, diurno e notturno), il quale si unì alla Notte dando origine alle Etere, alla Terra e al Giorno. Egli ricorda, a questo punto, che nella Teogonia di Esiodo, Nýx si unì a suo fratello Érebos e da lui ebbe, Hēméra «giorno» e Aithḗr «etere». (Branston 1955).Le interpretazioni di alcuni dei nomi è forzata. Etimologicamente, Naglfari non ha nulla a che vedere con l'«oscurità», e Audr non ha niente a che fare con l'«etere» o lo «spazio». La loro assimilazione con Érebos e Aithḗr è dunque fuorviante.

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