lunedì 30 agosto 2010

Il Poema di Gilgamesh. de "Il meraviglioso mondo di Shangri-La"


Prologo
Proclamerò alle genti l’alte imprese di Gilgamesh, colui che tutto vide, ogni cosa conobbe e investigò, colui che tutto vide sino agli ultimi margini della Terra, lui che ricco di sapienza e esperienza senza pari le cose arcane vide, le nascoste cose scoprì, i misteri tutti aperse, narrò ciò che fu prima del diluvio; lui che remoti e incogniti sentieri corse fino a sfinirsi, ogni fatica del braccio suo scolpì poi su una stele, a imperituro lascito per noi. Quando i Numi il crearono, gli diero un corpo perfettissimo: Shamash, il sole invitto, gli diè lo splendore; Adad, il dio dei turbini, il coraggio gli donò poi, mentre la sua bellezza i grandi Dei resero alfin perfetta, sopra ogni altro mortale. Ei fu terribile come il toro selvaggio, e insuperabile; per due terzi fu dio ed un terzo uomo, perché da Lugalbanda, semidio e sovrano d’Uruk, e da Ninsun, di celebre saggezza, egli fu figlio. Di Uruk fece le mura tutt'intorno, e il sacro tempio Eanna per il dio del firmamento Anu, e per l’eccelsa Ishtar che dell’amore è la patrona. Miratelo ancor oggi: il muro esterno brilla dello splendor rosso del rame, ne’ il muro interno ha eguali sulla terra. Tocca la soglia: è antica come il mondo. Appressati al palagio d’Ishtar, dea dell’amore sì come della guerra, all’Eanna che niun uomo vivente, nessun mortal potrà oggidì eguagliare. Sali, o viandante, sul bastion esterno della città di Uruk, tutto percorrilo: osserva l’imponente terrapieno delle sue fondamenta, il muro esamina: fatto esso è tutto di mattoni cotti, come i Sette Sapienti un dì decisero. Questa di Gilgamesh fu l’opra antica; ma nulla essa ci appare, confrontata con la ricerca ch’egli affrontar volle dell’immortalità, di là dai monti dietro i quali Shamash si tuffa a sera, e di là dall’orrende acque di morte fino a incontrar quell’uom che dal diluvio unico si salvò, grazie al dio Ea, che dell’umanità è il gran protettore. Questo io canterò, ed il canto mio nei secoli perenne echeggerà.
Il Diluvio Universale
«Conosci la città di Shuruppak, che sulle rive dell'Eufrate sorge? È vecchia la cittade, chè fondata fu quand'era ancor giovane la Terra, quando eran verdi i monti dello Zagros né sulla Luna macchia v'era ancora; là dimoravan gli déi primordiali, antichi come il Tempo: v'era Anu, signor del firmamento, sommo padre dei Numi tutti; e v'era il potentissimo Enlil, suo consigliere, re dei venti, dell'aria, delle nuvole e dei tuoni, che il Cielo separò da questa Terra quando da Anu e da Ki fu generato; e Ninurta poi v'era, dio guerriero, uccisore dei mostri dell'Abisso, colui che nei primordi un'alta diga eresse contro l'acque della morte, chè dagli Inferi sorger non potessero ad allagare il mondo; e Ennugi infine, dio dei canali e delle irrigazioni, che dei coltivatori è gran patrono. V'era con essi Ea, dell'acque dolci nume sovrano, protettor dell'arti, della scrittura, dell'astrologia, signor della saggezza e dell'astuzia, cui nulla è ignoto sopra e sotto il mondo. In quei giorni era un fervere di vita nella terra di Sumer: pullulava il mondo di abitanti, l'uman genere vieppiù cresceva e si moltiplicava, e tutti all'opre loro erano intenti; mugghiava come un gran toro selvaggio il mondo dei viventi, ed il supremo Enlil venne destato dal clamore. Così, adirato per quel forte strepito che turbava il suo sonno, egli in consesso chiamò tutti gli déi: "Non è possibile", incominciò, "dormire più, ché troppo è il frastuono degli uomini; son essi per noi ormai sol più un fastidio, e dunque è necessario tutti sterminarli.". Approvaron gli dei, tranne il sapiente Ea che restò in silenzio: neppur lui può opporsi a suo fratello impunemente nel concistoro sommo dei Celesti. "Giuriamo tutti di non rivelare nulla agli uomini di ciò che accadrà", proclamò Enlil, e giuraron tutti: pur Ea costretto fu a giurar con gli altri, ma ei mi aveva caro, e non volea ch'io perissi nell'acque del diluvio; ed ideò così uno stratagemma. Ei venne nella notte alla mia casa, si fermò nel cortile, e innanzi al muro d'incannicciato dietro al qual dormivo si pose in piedi ed iniziò a parlare: "O casa di mattoni di Ut-napishtim, o parete di canne, udite, udite: han giurato gli déi, fu posto termine alla vita dell'uomo sulla Terra! Di Ubara-Tutu il figlio, se salvarsi vuole dall'acque ultrici, tosto abbatta la casa sua, una nave costruisca! Lasci gli averi suoi, scelga la vita! Sol chi disprezza i beni suoi mondani sopravviver potrà al gran cataclisma! Abbatta i muri tuoi il tuo padrone, venda quello che ha, con i proventi edifichi un battello, e siano queste le sue misure: lungo quanto largo, largo quanto alto, e sia di centoventi cubiti ogni suo lato. Sopra d'esso sia fatto un tetto che sia resistente come la volta del profondo Abisso, perchè regga ai rovesci del diluvio. In nove ponti venga suddiviso, ed Ut-Napishtim poi conduca in esso il seme d'ogni viva creatura, tre paia d'ogni specie di animali, maschio e femmina, assieme alle sementi d'ogni albero ed arbusto che coltiva. L'ultimo ponte colmo di foraggio sia per le specie erbivore, che latte forniran per sfamare le carnivore, finché non sia finita la bufera.". Io mi destai, e udii queste parole, che mi sconvolser tutto, come l'uomo cui viene comandato di scolpire una montagna, a trarne effigie umana il cui capo lambiscano le nuvole. Ma mi feci coraggio e ad Ea risposi: "Quanto tu hai comandato, io lo farò; ma che dirò alla gente, alla città ed agli anziani, s'essi mi vedranno vendere tutto e erigere quest'arca?". Allora il nume aprì la bocca e disse al servo suo, a me: "O casa, o casa, che il tuo padron risponda a quei curiosi: «Ho ricevuto tristi vaticinii: Enlil con me è infuriato, e più non oso camminare nell'urbe ch'egli abita, a Shuruppak d'antiche fondamenta: discenderò perciò con una nave il corso dell'Eufrate, fino al golfo, per dimorar con Ea, ch'è il mio signore. Ma su di voi il dio dell'atmosfera piover farà ogni bene in abbondanza, pesci rari e elusiva selvaggina, ricca stagion di messi avrete voi; la sera, il cavalier della tempesta vi porterà torrenti di buon grano, mentre sarà errabonda la mia vita lungi dalla mia patria, fino a quando Ea non mi donerà la pace alfine». Tacque, e sparve il signor della saggezza, come dispare a mane un lieve sogno che ci ha invaso la mente a mezzanotte. Subito balzai su, e compresi il tutto, come il mio protettor parlato avesse alla casa, così da non infrangere il giuramento fatto agli déi tutti, di tacer del diluvio ad ogni uomo. Così, tutti destai nella mia casa; in sul primo albeggiare, la famiglia si riunì attorno a me, i bimbi portarono secchi di pece, e gli uomini gli attrezzi; una fossa scavammo, e dentro d'essa cominciò a sorger la maestosa chiglia, che dopo quattro giorni già svettava; il quinto giorno, sollevai le coste ed il sesto ed il settimo il fasciame. Infine eressi il tetto; era spiovente per fare defluir l'acque assassine, e sotto d'esso apriasi una finestra. Di un acro era la vasta superficie occupata dall'arca; dentro d'essa fabbricai i nove ponti, separati da paratie; dov'era necessario dei cunei infissi, e infin non mi restò che impedire l'ingresso all'acque salse. Recaron olio i portatori miei, pece versai nella fornace ardente assieme all'olio e al bruno asfalto; il tutto mi servì per tappare ogni fessura, finché fu impermeabile lo scafo. Altro olio messo fu tra le provviste. Per la mia gente macellai giovenchi, ogni dì uccisi pecore ed agnelli; ai carpentieri diedi vin da bere come se fosse l'acqua d'un ruscello, scorreva il mosto a fiumi, insieme all'olio, e vino rosso e birra e vino bianco. Ecco, il settimo giorno era completa la nave mia; facemmo festa allora come si fa per l'anno nuovo, il capo mi unsi d'olio, e sacrifici feci ad Ea che fu con me sì generoso. Chiesero molti quale scopo avesse il mio lavoro, ma io la risposta diedi che il dio m'aveva suggerita. Intanto caricavo ogni mio avere dentro il ventre dell'arca: la famiglia, i parenti, le bestie dei miei campi, gli animali da soma, tutti quelli ch'avean partecipato a eriger l'arca ed in me avean creduto; al barcaiolo Puzur-Amurri io affidai il timone. Sorse l'ottavo giorno; io guardai fuori, ed ecco, eran terribili le nubi, oscuro il cielo, là dove brillato avea Shamash fino alla sera prima. Compresi, era il segnale della fine. Subito entrai, chè il tempo era compiuto, calafatai l'intero boccaporto sigillando la nave, e infine attesi l'ultima sera dell'umanità. Ecco, al tramonto venne all'orizzonte una nube nerissima, da dentro tuonava orribilmente, giacché in essa viaggiava Adad, signor della tempesta. Davanti a lui venivano Shullat e Anish, nunzi divini della pioggia. Sorsero poi i signori dell'Abisso: Nergal divelse le possenti dighe dell'acque sotterranee, mentre il dio della guerra, Ninurta, abbatté gli argini; allora i sette giudici degli Inferi, gli Anunnakku, innalzaron le lor torce, e illuminaron d'una fiamma livida cielo e terra per l'ultimo giudizio. Disperato sgomento si levò fino al ciel, quando il dio della tempesta del dì la luce trasformò in gran tenebra, ed infranse la Terra come un coccio. Per un intero giorno la bufera imperversò, infuriando si abbatteva sugli uomini qual impeto di guerra; nessun veder poteva il suo fratello, né dal ciel si potean vedere gli uomini. Anche gli dei terrorizzò il diluvio: fuggiron tutti nel sommo del cielo, il firmamento di Anu, e tremebondi contro le mura del palagio eterno si rannicchiaron come can bastardi. La regina del Cielo, Ishtar la bella, Ishtar di dolce voce, disperata gridò come una donna nel travaglio: "Ohimè, son polve ormai gli antichi giorni, poiché ordinammo il male: finì un'era per colpa dell'ostinazion d'un solo! Oh, perchè il dio dell'aria ordinò questo nel concilio dei numi? E perchè mai io l'approvai? Io comandato ho guerre per distruggere gli uomini, ma forse non son essi i miei figli, dal momento ch'io li ho generati? Or nell'oceano galleggiano come di pesci uova!". Così piangean tutti gli déi del cielo, e piangendo copriansi tutti gli occhi. Ma tardi oramai era per noi tutti: per sei giorni e sei notti tutti i venti soffiaron con violenza, la bufera e la piena la terra sopraffecero, infuriando terribili sul mondo come fanno gli eserciti in battaglia. Tutti i monti coprirono quell'acque, e il mare pullulava di cadaveri d'uomini e d'animali; ma su di esso galleggiavamo noi, chiusi nell'arca, tremebondi perchè potevan l'acque putride irromper nella nostra nave, ponendo fine ad ogni nostra speme. Quando giunse del settimo dì l'alba, la tempesta del sud diminuì, il mar si fece calmo, infin la piena s'acquietò, zittiron anche i tuoni. Ecco, aprii la finestra, sporsi il capo a mirare la faccia della terra: cadde del sol la luce sul mio viso, e tosto m'investì un grave silenzio, del mar la superficie si estendeva piatta sì come un tetto, tutti gli uomini erano diventati argilla e fango!! Ecco, io m'inchinai e piansi amaro, scorreano sul mio viso calde lacrime, chè ovunque v'era sol deserto d'acque. Invan cercai la terra, fino a quando a quattordici leghe di distanza m'apparve un alto monte, e lì la nave con gran fracasso alfine si arenò. Era il monte Nisir. Restò incagliata lassù la nave per sei giorni, e intanto andavan defluendo l'acque tutte. All'albeggiare del settimo giorno una colomba liberai, ma essa non trovò luogo ove posare il piede, che l'acque ancor gravavano il pianeta, così fece ritorno. Feci uscire una rondine allora, e volò via, ma ritornò anche lei. Un corvo infine io liberai, ma questi trovò enormi cumuli di cadaveri ammonticchiati, vi si posò, mangiò e non tornò più. Compresi allor che il tutto era finito: la nave coperchiai, volaron tutti gli uccelli fuor dall'arca, apersi poi la porta sigillata, e gli animali si sparsero nel mondo in ogni dove. Sacrificali offerte feci subito, sulla cima del monte libagione versai sopra la cima del gran monte: sette e sette marmitte io innalzai sui trespoli, ammassai e cedro e mirto, e ricco grasso offrii agli déi celesti. Subito il dolce olezzo essi fiutarono, fiutarono il profumo, e come mosche accorsero sul grande sacrificio. Anche Ishtar venne, e al cielo sollevò la collana celeste con le pietre che Anu un dì forgiato avea per lei: "O numi qui presenti, o sommi divi, io dico a voi che per il lapislazzuli intorno al collo mio, ricorderò questi giorni così come rammento le pietre tutte intorno alla mia gola; questi dì mai dimenticherò. Che tutti gli immortali si riuniscano intorno al sacrificio, fuorché Enlil: lui non si accosterà a codesta offerta, perchè senza riflettere il diluvio volle portar sul mondo, ed il mio popolo ha votato ad orribil distruzione!". Quando Enlil giunse e vide la mia nave, si gonfiò d'ira contro gli dei tutti, contro la diva schiera s'adirò: "Come sfuggì alla distruzione alcuno di quei mortali?", urlò fuori di sé. Allor Ninurta, il sire della guerra e dell'abisso, aprì la bocca e disse: "Chi fra i superni è in grado, o dio superbo, di fra progetti senza Ea? Lui solo tutto conosce. E tu speravi forse d'ingannar quei ch'è dio della saggezza?" Ea stesso aprì la bocca e gli parlò: "O sommo tra gli déi, Enlil eroe, come hai potuto tanto stoltamente far scendere il diluvio? Al peccatore imponi il suo peccato d'espiare, al trasgressor la trasgressione sua, puniscilo se evade, ma non troppo, altrimenti perisce. E senza l'uomo chi sacrifici ai numi innalzerà? Oh, se un leone avesse dilaniato l'umanità, ma non il gran diluvio! Oh, se un gran lupo avesse divorato l'umanità, ma non il gran diluvio! Oh, se la carestia avesse stroncato l'umanità, ma non il gran diluvio! Oh, se la peste avesse sterminato l'umanità, ma non il gran diluvio! Adesso il caos non vincerebbe il mondo! Non io all'uomo rivelai il segreto che a giurare, fratel, mi costringesti: il saggio in sogno infatti fu informato. Or si consiglin tutti gli immortali su quale essere debba il suo destino." Enlil si placò allora: alla grand'arca venne, prese per mano me e mia moglie, inginocchiar ci fece, uno a sinistra e l'altra a destra, mentre stava in piedi il sommo dio tra noi. Per benedirci il capo ci toccò, e ci disse: "Un tempo Ut-napishtim fu un uomo, ma or non più: d'ora innanzi sia lui che la consorte vivranno presso il margine del mondo, alla bocca dei fiumi, né la morte potere avrà giammai sopra di loro." E fu così che ci preser gli Dei e ci posero qui, a viver per sempre, lontano dai mortali, in capo al mondo, alla bocca dei fiumi, né la morte avrà giammai potere su di noi.».

Nessun commento:

Posta un commento